Sulla base di alcuni medico-legali, la procura generale chiede che il caso venga chiuso come suicidio. La famiglia sostiene la tesi che la morte del cameraman palermitano, trovato senza vita nella sua casa di Madrid, sia dovuta a un omicidio volontario
Mario Biondo, famiglia si opporrà a richiesta archiviazione «Abbiamo documenti con prove che il giudice deve vedere»
Faranno opposizione alla seconda richiesta di archiviazione presentata dalla procura generale, che ha avocato il caso, i familiari di Mario Biondo assistiti dall’avvocata Carmelita Morreale. Il cameraman palermitano trovato morto nel suo appartamento di Madrid (in Spagna) il 30 maggio del 2013. La decisione segue la nuova istanza dell’accusa che, sulla base degli accertamenti medico-legali, ha concluso che il giovane si è suicidato.
Diversa la tesi della famiglia, convinta che si tratti di un omicidio volontario. I consulenti che hanno svolto diversi accertamenti informatici che metterebbero in dubbio la tesi del suicidio dicono: «Vogliamo che il giudice per le indagini preliminari possa rendersi conto, leggendo personalmente i documenti, di quanta differenza c’è tra le conclusioni della procura generale e le prove da noi ottenute, come i tabulati telefonici, internet e tutte le informazioni ricevute dagli stessi social network e compagnie dei servizi email. Prove che non sono mai state chieste in passato e che ora meritano, in rispetto della verità, di essere visionate e prese in considerazione».
Tra le prove menzionate dai consulenti della società Emme Team, anche la relazione dei Ris di Messina, che avrebbe presentato elementi scientifici per affermare che i reperti utilizzati per le analisi istologiche non erano quelli di Mario Biondo. Stando a quanto ricostruito dai consulenti della famiglia, il tecnico nominato dalla procura, in merito alle copie backup dei social di Biondo avrebbe scritto che non vi erano messaggi o informazioni dopo il 2011. Inoltre, sostengono che il consulente della procura avrebbe analizzato il profilo Facebook ora commemorativo della vittima ma non quello che usava per postare e chattare giornalmente.