«L’obiettivo è arrivare prima che la donna subisca la violenza». A dirlo è Vita Salvo, psicologa e responsabile del centro antiviolenza dell’associazione Thamaia. La onlus etnea ha un’ampia esperienza sull’argomento poiché dal 2001 affronta quotidianamente i problemi di donne e minori vittime di maltrattamenti. Nella struttura sono diverse le storie che si intrecciano e le persone che lottano contro una macchina burocratica ancora non perfettamente oleata rispetto a casi di violenza di genere. A raccontare a MeridioNews uno di questi spaccati è Maria, 42enne che si rivolge a Thamaia nel 2012.
Quando chiede aiuto alla onlus ha 38 anni, è sposata da 13 e dal marito ha già avuto tre figli. Lui è possessivo fin dall’inizio della relazione: limita le sue uscite con le amiche, la intralcia a lavoro e fruga nella sua borsa in cerca delle prove di un presunto tradimento. Durante uno di questi controlli le strappa l’agenda, dicendo: «Stai con me, non ti serve più», racconta. Rivendica una sorta di diritto di proprietà, paragona la compagna a un oggetto e per legarla ancora di più a sé preme per avere un figlio. Un momento delicato, quest’ultimo, perché statisticamente la violenza dell’uomo aumenta dopo il matrimonio e durante la gravidanza.
Nel frattempo le visite del marito a lavoro aumentano e Maria viene licenziata. Ogni mattina lui le controlla la biancheria intima e la disprezza. Un sentimento, quest’ultimo, che esterna di continuo. Tanto che dopo la nascita del primo figlio afferma: «Una cosa hai fatto e l’hai fatta male». Un riferimento ai problemi respiratori del nascituro. C’è tanta violenza psicologica, condita da qualche schiaffo e da parole che pesano come macigni: «Queste sono carezze, se volessi farti davvero del male saprei come fare». Maria viene quindi estromessa dalla gestione economica: niente soldi per lei né per i figli e il marito la convince pure a cointestare un libretto postale: la donna non rivedrà più quella somma.
Con la nascita dei figli, la gelosia dell’uomo viene distribuita anche a loro: cinghiate per i bambini e pressioni psicologiche alla moglie. «Sbucci la frutta prima ai bambini ma prima o poi loro se ne andranno e tu invece rimarrai con me», riporta un esempio. Maria non ne può più e si rivolge al centro Thamaia che la colloca in una struttura di accoglienza gestita da suore, dove la donna porta con sé solo la bambina più piccola, di sei anni. I due figli maschi – di 17 e 14 anni – rimangono con il padre che viene colpito da un provvedimento di allontanamento.
L’uomo, non potendo stare più a stretto contatto con la donna, cerca di metterle contro i figli.
«È una puttana, se n’è andata con l’amante», gli avrebbe detto. I ragazzi cominciano a credere alla versione del padre. Con lui non hanno regole e perdono l’anno scolastico. Nessuno si prende cura di loro, vanno a scuola con i vestiti sporchi e vengono insultati dai compagni. Ma dopo sei mesi il tribunale decide che Maria rientri nella casa coniugale e che abbia l’affidamento dei figli.
L’uomo non fornisce mai un assegno di mantenimento e si frappone a ogni decisione utile per loro. Riaccompagna in ritardo i ragazzi o non si reca agli appuntamenti.
La situazione si ribalta quando i figli cominciano a capire la situazione e da quel momento fanno fatica a lasciare sola la mamma. Nonostante ciò uno di loro, oggi, pare maltratti la fidanzata.
«Su venti ragazzi, più della metà ha subìto violenza nelle relazioni intime e spesso questa è molto sottile e subdola. La cosa che mi stupisce è che ancora oggi ci scontriamo con la diffidenza di insegnanti e genitori che si scandalizzino», racconta Vita Salvo.
Contro queste storture e contro l’assenza delle istituzioni solo la determinazione delle volontarie di Thamaia può fare la differenza.
Ascolto, prevenzione, documentazione e informazione: questi i capisaldi per una battaglia che può essere vinta.
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