Mara, Dollirio e la brama di potere

Ideazione e regia: Nino Romeo
Cast: Graziana Maniscalco, Nino Romeo
Scene e costumi: Umberto Naso
Musiche: Franco Lazzaro
Luci: Franco Buzzanca
Aiuto regia: Salvatore Valentino
Direttore di scena: Enza Privitera
Produzione: Gruppo Iarba Catania

 

Nuovoteatro, la rassegna organizzata dallo Stabile di Catania e dedicata alla drammaturgia contemporanea, si chiude in questi giorni con Dollirio, spettacolo in anteprima assoluta scritto e diretto da Nino Romeo.
Dollirio è un boss mafioso di quartiere. A lui si rivolge la giovane Mara, dopo che le sono stati uccisi i genitori: “davanti alla giustizia e alla forze dell’ordine si deve stare con la bocca cucita, perché queste nessun sazio possono dare al desiderio di vendetta. Solo Dollirio può”.
Inizia così la piece di Romeo, composta da sette scene suddivise in due atti. La storia copre un arco temporale di circa trent’anni, durante i quali Mara da soggiogata diventa soggiogatrice, da sguattera diventa padrona, da puttana diventa signora. Mara cambia perché conosce il potere e, a poco a poco, lo conquista. Alla sua ascesa, lenta ma inesorabile, corrisponde il graduale declino di Dollirio: la perdita di potere, di forza, di decisione, fino alla paralisi finale quando, voltando le spalle al pubblico, è ormai incapace di alzare un braccio o mangiare da solo. L’ascesa di Mara è quella della mafia: Mara è la Mafia.  Dal quartiere catanese alla “Milano da bere” degli anni 80, al riciclaggio dei soldi in Svizzera, alla connivenze politiche con lo “stalliere” degli anni 90, fino ai giorni nostri. Una macchia nera che si espande a olio, strisciante, che si insinua nelle fenditure, coma Mara fa infilandosi tra le crepe della famiglia di Dollirio, divenendone il cuore pulsante.

Graziana Maniscalco dà una grande prova di sé: sulla scena è al tempo stesso giovane indifesa, amante sibillina e padrona monumentale. Offre un’interpretazione sanguigna, appassionata e appassionante. Accanto a lei, Nino Romeo, autore e regista dello spettacolo, veste i panni di Dollirio: senza mai parlare, racconta la sua storia di declino con lo sguardo e con i gesti, imperiosi all’inizio, nulli alla fine. Lo spettacolo si snoda veloce davanti agli occhi dello spettatore, nella scena suddivisa in tre parti. Al centro del palco lo spazio è quello della vita e della parola, dell’azione e della sopraffazione; ai lati, racchiuse da due velari semi-trasparenti, due nicchie. In esse, di volta in volta, Mara cambia veste, segnando così la sua maturazione, la sua ascesa con il passare degli anni: è come se fossero le due parti di una clessidra, all’interno delle quali non si vede scorrere la sabbia, ma si osserva la metamorfosi, esteriore e soprattutto interiore, della protagonista, e in virtù di questa si percepisce lo scorrere del tempo. Le luci accentuano la passione, densa e oscura, che pervade la vicenda: una passione erotica e violenta, che visivamente è veicolata grazie all’alternarsi del rosso fuoco, del bianco freddo e della penombra scura che vengono creati sul palco giostrando i riflettori.

Nella vicenda una su tutte è la parola chiave: potere. All’inizio è Dollirio ad avere potere su Mara. Poi, la situazione si ribalta: Mara decide e, all’inizio del secondo atto, si impone. Non chiede più il permesso, non utilizza più il condizionale: ad imperare ora è lei. Un cambiamento forse un po’ troppo repentino, che dopo la ripresa dello spettacolo fa sì che di fronte allo spettatore, “saltando un passaggio”, ci sia una donna nuova. Una donna pronta a rinnegare il suo essere femminile, il suo essere madre, pur di ottenere quel che vuole, il pieno dominio sull’uomo che, per anni, tutto e tutti ha dominato. Dollirio, ormai vecchio, stanco, inabile a parlare, esce di scena. È a questo punto che Mara recupera la propria coscienza. La verità, aveva detto precedentemente, sta nei bambini e negli ubriachi. Alla fine, Mara è “ubriaca di verità”, e questo è desolante. Sola, non ha più nulla. Sulle note della Wally di Catalani, uscendo di scena, ruba le parole di Max Stirner, il filosofo nichilista: “ho fondato la mia causa sul nulla”. Il nulla per Mara sono la vendetta e il potere, che ha strappato di mano a Dollirio. Facendolo, però, è diventata Dollirio lei stessa. Ed ora che lui non c’è più, lo specchio “si è rotto”, e neanche lei ha più motivo di restare.


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