La producono soltanto 20 persone al mondo, tutte tra Castelbuono e Pollina, in provincia di Palermo. È la manna, una linfa che si estrae dalla corteccia del frassino. «Quando l’albero viene inciso la linfa è grezza, poi il vento frescoso e un po’ marino la asciuga e la fa condensare». A parlare con MeridioNews è […]
La manna da frassino, solo 20 produttori al mondo nel Palermitano: «L’incisione dell’albero va fatta con coscienza»
La producono soltanto 20 persone al mondo, tutte tra Castelbuono e Pollina, in provincia di Palermo. È la manna, una linfa che si estrae dalla corteccia del frassino. «Quando l’albero viene inciso la linfa è grezza, poi il vento frescoso e un po’ marino la asciuga e la fa condensare». A parlare con MeridioNews è Emilio Appiano, 23enne imprenditore agricolo che mentre ci racconta al telefono il processo di produzione della manna sta proprio incidendo dei frassini. «Le incisioni si fanno tutte le mattine – dice Appiano – dai primi giorni di luglio fino alla fine di agosto. Con i cambiamenti climatici che stiamo vivendo, però, i frassini producono manna fino all’inizio di ottobre». Inoltre «quest’anno la stagione è iniziata in anticipo – dice Appiano al nostro giornale – perché ha fatto tanto caldo tra maggio e giugno e poi non ha piovuto». Le condizioni climatiche sono fondamentali, perché per produrre la linfa «il frassino dev’essere in pre-stress idrico – dice Appiano – cioè deve iniziare a sentire la mancanza d’acqua».
«Si incidono sia i tronchi che i rami» della pianta, «ma il tronco produce di più. In ogni caso – continua Appiano – l’incisione va fatta con coscienza». Se una pianta fosse in stress idrico – se quindi subisse fortemente la mancanza d’acqua – sarebbe «inutile inciderla, non si deve massacrare il frassino. L’incisione – ci tiene a ribadire Appiano – va fatta con tecnica e con coscienza». Anche per questo «non è facile che i frassinicoltori condividano la tecnica di incisione con altre persone – dice Appiano – C’è una sorta di gelosia, che nasce anche dalla volontà di difendere le piante». Di solito la tecnica viene tramandata di padre in figlio, ma Appiano – per metà piemontese – non viene da una famiglia di frassinicoltori. Questo è il 12esimo anno in cui produce manna – Appiano ha iniziato quando aveva 11 anni – ma solo nel 2016 ha trovato un maestro che gli ha tramandato i suoi segreti. «Con lui nel 2018 abbiamo affrontato l’annata più complicata: ha piovuto per molta parte dell’estate, quindi l’albero si è intriso d’acqua e non è più riuscito a produrre. All’albero l’acqua fa bene – dice Appiano – alla manna no».
Già di per sé quella della manna «è una produzione abbastanza complicata, perché è incredibilmente aleatoria, incerta: teme l’acqua e reagisce male all’umidità della mattina». Inoltre «ogni annata è diversa da quella precedente, perché il frassino presenta sempre condizioni un po’ differenti rispetto a quelle dell’anno prima». Fondamentale è capire quando si può iniziare a incidere la pianta, «perché bisogna che sia matura. Ma come si capisce quando il frassino è maturo? – dice Appiano – Con i frutti ce ne accorgiamo dai colori, mentre il frassino dà dei segnali: il colore delle foglie, alcune spaccature nel terreno, oppure la presenza di alcune piante che tendono a seccare, tipo la gramigna». Il resto lo si capisce dall’incisione, che si fa con un particolare tipo di coltello. «La linfa dev’essere di un giallo tenue – dice Appiano – perché se è rossa o bruna, vuol dire che la pianta non è pronta». Inoltre molto si capisce dal flusso: «Se il frassino emette molta linfa già alla prima incisione, allora non è matura. La linfa non dev’essere troppo liquida, se no dopo non condenserebbe».
Quella della manna è una produzione delicata e complicata, ma quando le condizioni sono favorevoli l’albero di frassino dà un prodotto che viene usato in molti modi e che si sta diffondendo in tanti campi. «La usano l’industria cosmetica – ci dice Appiano – quella dolciaria e nell’ultimo periodo molte cucine di ristoranti prestigiosi hanno iniziato a sperimentare dei piatti con la manna, per creare un contrasto tra dolce e salato». Inoltre pare faccia molto bene alla salute. «Depura il sangue – dice Appiano – libera la cistifellea dalla bile, rinfresca l’intestino e lo regola: praticamente è un digestivo naturale». Poi «pur essendo dolce, può essere ingerita dalle persone che hanno il diabete, perché la manna non contiene glucosio, ma altri quattro zuccheri, di cui due dovrebbe averli solo lei in natura».
«Potenzialmente tutti i frassini potrebbero produrre manna – dice l’imprenditore agricolo al nostro giornale – ma gli unici conosciuti sono il Fraxinus Angustifolia o frassino minore, di cui si contano almeno 60 varietà, e il Fraxinus Ornus». Mentre le varietà di manna sono quattro: «Cannolo, drogheria, rottame, in sorte, detta anche manna di pala». La varietà cannolo viene considerata la più pregiata e ha la caratteristica forma allungata a stalattite, «la manna drogheria è quella più pulita», la rottame è fatta di linfa che scorre lungo la corteccia, mentre la varietà in sorte «viene dalla pala di fico d’India». Ma non esiste solo la manna da frassino. «È la più conosciuta – dice Appiano – ma ci sono anche la manna oliomele, che si trae dall’ulivo, e poi ci sono dei licheni del deserto che producono una manna fatta di perline zuccherine».
Quello legato al frassino «è veramente un bagno di sapere e di cultura che viene da secoli di tradizione – dice Appiano a MeridioNews – Il primo documento di commercio della manna risale al 1080 e parla di scambi nel porto di Catania. Pare ci fosse un mercato fiorente e magari già prima di quella data si praticava la tecnica dell’incisione». Poi, però, la produzione della manna si è persa, «non per questioni climatiche – si produceva manna anche in Toscana – ma perché le persone che facevano da memoria storica e che tramandavano la tecnica dell’incisione sono morte». Ora anche Appiano è diventato «un po’ geloso – sorride al telefono – ma se qualcuno vuole imparare, insegno volentieri». Quello che invece un frassinicoltore non fa è «far toccare ad altri le proprie piante e il proprio coltello». Quest’ultimo «è molto personale – dice Appiano – si tramanda e basta: se lo fai toccare a qualcuno, poi glielo devi regalare. E se regali il coltello, si crede che porti sfortuna. Va bene solo tramandarlo, è una sorta di rituale». Ma Appiano ci parla anche di un’altra credenza, quella che vuole che la pianta riconosca «la mano di chi la incide. Mi è capitato di vedere che alcune piante che da un anno all’altro sono state incise da gente diversa poi non hanno dato manna». Alberi, i frassini, che «crescono nei valloni, nelle zone più scoscese – dice Appiano – quindi tengono molto i terreni e non vogliono molta acqua. Il frassino sta perfettamente nei canoni di salvaguardia del clima e dell’ambiente».
Lo scorso giugno Emilio Appiano ha vinto l’Oscar Green di Coldiretti – la principale organizzazione italiana delle imprese agricole – nella categoria Custodi d’Italia. «La selezione spietata è stata quella regionale – dice Appiano – Noi dovevamo presentare il nostro lavoro tramite dei video». Nei mesi scorsi Coldiretti è andata nelle aziende agricole in gara e ha ripreso la fasi di lavorazione delle diverse produzioni. Nell’azienda di Appiano ovviamente l’attenzione delle telecamere è stata attratta dall’incisione del frassino. «Il premio regionale l’ho ricevuto nel bellissimo teatro di Segesta, poi a Venezia quello nazionale. Siamo partite in mille persone – dice Appiano – e in finale ci siamo ritrovati in due». Un importante riconoscimento per un giovane imprenditore agricolo della nostra regione e per un prodotto estratto e lavorato da pochissime persone al mondo tra Castelbuono e Pollina.