Manifesta 12, intervista al direttore Roberto Albergoni «Palermo in trasformazione, qui è cambiato approccio»

Laurea in Economia e Commercio, svolge attività di consulenza alle imprese nei settori della finanza agevolata e dell’internazionalizzazione. È stato vice direttore di Unimed, Unione delle Università del Mediterraneo. Da maggio 2016 dirige da Fondazione Manifesta 12 Palermo: Roberto Albergoni ha le idee chiare e ci racconta come sarà la biennale d’arte contemporanea nomade a Palermo.

Com’è cambiata Manifesta a Palermo? 

«La città ci ha messo di fronte a delle tematiche forti come le migrazioni e i cambiamenti climatici, che sono anche le ragioni per cui la biennale arriva a Palermo. Manifesta si è messa in discussione trovando un terreno fertile per affrontare tematiche così complesse e confrontandosi con una città che va al di là della bellezza dei monumenti, del clima e della vivacità dei suoi abitanti, è una città ancora non definita, in trasformazione. Anche il centro storico enorme restaurato a macchia di leopardo con una struttura sociale ancora in mutazione è affascinante. La città è tornata ad abitare il centro storico ma non è ancora un processo definito, è in corso, si sono sovrapposte le classi sociali, i migranti abitano il centro storico e non la periferia come in altre città europee. Tutto questo determina la necessità, volendo realizzare non soltanto una mostra pensata in modo autonomo rispetto alla città, di capire cos’è la città in questo momento, la storia che ha avuto, e quello che può e vuole divenire, in quale direzione sta andando e le tematiche che la città offre in termini di riflessione nello scenario internazionale. Manifesta è la terza biennale al mondo di arte contemporanea e ha visto in Palermo la possibilità di sperimentare un processo diverso tanto che decide anche una modalità diversa di approccio alla città: siamo partiti non con il progetto curatoriale ma la prima cosa è stata uno studio urbanistico e di narrazione della storia di Palermo dal dopoguerra a oggi e su quello che potrebbe divenire in futuro. Una modalità che non fa parte di una biennale d’arte e invece qui a Palermo è stato il cuore del progetto. Abbiamo scelto uno studio d’architettura e di urbanistica di Rotterdam che da sempre si è occupato di fare interagire arte e urbanistica anche per capire come Manifesta può contribuire al racconto della città e alla costruzione di una visione di questa che sia costruita sulle dinamiche culturali, è questo il vero obiettivo della manifestazione e lo realizza tramite le opere all’interno di una cornice di pensiero, di riflessione e di ricerca molto più ampia».

Cosa rimarrà di Manifesta a Palermo? 

«Ci sono due obiettivi principali rispetto a quello che può rimanere. Il primo è la relazione con l’esterno, Manifesta porta a Palermo il mondo dell’arte contemporanea internazionale, un’attenzione molto forte in termini mediatici e crea relazioni. A Palermo abbiamo un po’ la sindrome della perfezione, abbiamo tutto il sole il mare e la cultura, siamo perfetti, non ci serve la contaminazione con l’esterno a meno che non sia l’esterno a venire qui a trovarci. Palermo non è un luogo rappresentativo per il mercato dell’arte contemporanea, anzi è molto periferica come città rispetto a quel mondo. Le relazioni e le contaminazioni che ha già portato e che continuerà a portare sono le risorse più importanti di questo processo anche per cambiare la mentalità dei cittadini e per dare un po’ la sensazione di partecipazione a dei processi globali e internazionali riconquistando la consapevolezza di una forza che ha la città sul panorama internazionale adesso. Da un lato togliere le barriere caratteriali di isolamento e dall’altro lato farci riconoscere alcuni pregi alcune capacità che abbiamo e che non vengono valorizzati, sono processi lunghi che non daranno lavoro subito, però se gli artisti locali tramite Manifesta entrano in relazione con i galleristi e altri artisti internazionali, tutto questo può produrre una nuova dimensione della produttività del mercato nel mondo dell’arte».

Palermo ha accolto bene Manifesta?
«C’è molta voglia di partecipare, il dato sugli eventi collaterali lo dimostra. Ciascuno doveva trovarsi i soldi per fare le cose e nonostante tutto sono arrivati complessivamente tra gli eventi collaterali e i 5x5x5 circa settecento proposte. Questo significa che c’è interesse a stare dentro Manifesta, questo ci ha dimostrato che quando ci sono motivazioni forti si trovano anche le risorse. Sono processi che attivano delle energie a livello locale che si spera possano andare avanti da sole». 

Palermo sta cambiando, è in trasformazione come il mondo dell’arte. Non si corre il rischio di diventare troppo commerciali

«Credo che il fatto che si cominci finalmente ad accettare che il mondo della cultura debba interloquire con il mercato e con i privati sia un fatto positivo, deve essere un processo rispettoso delle proprie competenze e della capacità decisionale rispetto al governo del processo. Il pubblico in tutto il mondo non riesce più a garantire il sostegno univoco alle attività culturali e allora bisogna entrare in partnership col privato, senza però demandare in toto le decisioni e il governo del processo, l’obiettivo non deve essere il business l’obiettivo deve essere l’attività culturale e artistica rispetto alla quale il mercato è uno strumento che va trattato rispettando le sue logiche. Io sono contrario a chi ritiene che qualsiasi attività culturale può essere finanziata solo se è in grado di produrre reddito immediato perché sarebbe una follia, ma bisogna anche al tempo stesso che le attività e i siti culturali siano in grado di auto-sostenersi producendo non profitto ma reddito».


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