Mafia, papà e bimbi impacchettavano la droga «A S. G. Galermo l’economia era Cosa nostra»

In una stanza il padre e i figli, di meno di dieci anni. Lui impacchettava la droga e i bambini assistevano alla scena, assumendo modi di fare «maturi e scafati» nonostante la tenera età. L’economia di San Giovanni Galermo, secondo la procura di Catania, si regge ampiamente sullo spaccio di droga alle dipendenze di Cosa nostra: 50mila euro a settimana che sarebbero venuti dal traffico di sostanze stupefacenti non solo all’interno del quartiere, ma anche al Villaggio Sant’Agata, ad Adrano, Santa Maria di Licodia, Giarre e perfino Pachino. A reggerne le sorti, personaggi di spicco in grado di alternarsi, e sostituirsi rapidamente, nel caso di arresti delle forze dell’ordine: così dopo Enzo il biondo ci sarebbe stato Turi ciuri, seguito da Turi il puffo e, infine, da Enzo patata. Cioè i nomi con i quali sarebbero conosciuti, nell’ambiente, Vincenzo Guzzetta, Salvatore Fiore, Salvatore Gurrieri e Vincenzo Mirenda

L’
inchiesta Doks 54 indagati, 40 in carcere e 14 agli arresti domiciliari – prende le mosse dall’operazione Cavallo di ritorno di marzo 2015. Un blitz che aveva puntato a smantellare la rete di estorsioni alla base dei furti d’auto. Nel corso delle indagini, però, sarebbe emerso che alcune delle persone che si occupavano direttamente di chiedere il riscatto delle vetture, avrebbero avuto anche ruoli di rilievo nel gruppo di Galermo della famiglia Santapaola-Ercolano. Così è partito lo stralcio che, dopo due anni di indagini, ha portato agli arresti di questa mattina. Tra intercettazioni, pedinamenti e dichiarazioni di pentiti, alcuni fatti avrebbero trovato spiegazione in conflitti legati al controllo della compravendita di droga. Dei fratelli Mirenda (arrestati tutt’e tre), due – Vincenzo e Arturo – avrebbero tentato di uccidere Vittorio Benito Fiorenza. A fermarli, il fatto che quest’ultimo il giorno dell’agguato non fosse in casa. Così, in mancanza di lui, avrebbero minacciato con le armi in pugno i suoi familiari. 

La comunione di intenti di Vincenzo e Arturo Mirenda, però, si sarebbe interrotta una volta ottenuto il comando del gruppo. E, dunque, quando si sarebbe dovuto decidere chi dei due ne sarebbe diventato il capo. Arturo, tentando di scalzare Vincenzo, si sarebbe rivolto a Salvatore Fiore (
Turi ciuri), arrestato nel 2013 nell’ambito dell’inchiesta Fiori bianchi 2 e attualmente in carcere. A portargli i messaggi sarebbe stata sua moglie, che avrebbe avuto il ruolo di postina durante i colloqui nella casa circondariale. «Il gruppo di San Giovanni Galermo ha dimostrato un grande capacità di riorganizzarsi – spiega il comandante dei carabinieri di Gravina di Catania, Martino Della Corte – Alcuni personaggi passavano rapidamente dalle dipendenze di uno o dell’altro capo, senza soluzione di continuità». Il tutto per garantire continuità alle entrate della cosca, necessarie anche a pagare gli stipendi di chi si trova dietro le sbarre e delle loro famiglie.

Tra chi è finito in manette oggi, però, non ci sono solo persone accusate di fare parte dell’associazione mafiosa. «Ci sono anche imprenditori – spiegano gli inquirenti – che erano posti sotto estorsione e che hanno rifiutato di collaborare con la giustizia. Tanto da diventare quasi conniventi.
L’intera economia del quartiere ruotava attorno alla criminalità organizzata di stampo mafioso». Come nella tradizione di Cosa nostra, un’altra fonte di sostegno sarebbe venuta dal racket e dalle rapine. Non solo nei confronti di esercizi commerciali, ma anche di privati cittadini (in quest’ultimo caso, si configurava con la richiesta di riscatto dopo il furto di una vettura). E poi c’erano i furti, perfino ai danni dei distributori di merendine all’interno delle scuole. Infine il recupero crediti: un terzo dell’importo sarebbe dovuto andare alla mafia. Ma così, almeno, gli imprenditori avrebbero avuto indietro i soldi che avevano eventualmente anticipato. 

Gli arresti odierni

Giosuè Michele Aiello, classe 1993

Domenico Buttafuoco, classe 1978

Mario Maurizio Calabretta, classe 1988

Andrea Nicolò Corallo, classe 1982

Mario Diolosà, classe 1975

Salvatore Fiore, classe 1967

Andrea Florio, classe 1995

Giorgio Freni, classe 1965

Francesco Furnò, classe 1988

Vincenzo Gigantini, classe 1967

Armando Giuffrida, classe 1980

Francesco Iuculano, classe 1986

Silvana Leotta, classe 1976

Salvatore Lo Re, classe 1987

Salvatore Mantarro, classe 1965

Angelo Mirenda, classe 1964

Arturo Mirenda, classe 1961

Francesco Lucio Motta, classe 1986

Corin Musumeci, classe 1995

Desirée Musumeci, classe 1989

Domenico Musumeci, classe 1969

Carmelo Palermo, classe 1957

Salvatore Fabio Valentino Palermo, classe 1979

Salvatore Ponzo, classe 1986

Saverio Rampulla, classe 1986

Mario Russo, classe 1973

Antonino Savoca, classe 1990

Corrado Spataro, classe 1983

Damiano Salvatore Squillaci, classe 1993

Nicola Strano, classe 1964

Sottoposti agli arresti domiciliari

Diego Aiello, classe 1995

Alfredo Bulla, classe 1984

Alessio La Manna, classe 1988

Antonino Giuffrida, classe 1963

Antonino Cosentino, classe 1979

Vincenzo Florio, classe 1977

Vincenzo Mirenda, classe 1973

Alessandro Palermo, classe 1975

Salvatore Caltabiano, classe 1976

Antonino Russo, classe 1989

Già detenuti

Claudio Pietro Antonio Aiello, classe 1986

Daniele Buttafuoco, classe 1988

Claudio Calabretta, classe 1964

Nunzio Caltabiano, classe 1969

Vittorio Benito Fiorenza, classe /1981

Vincenzo Di Mauro, classe 1979

Massimo Vizzini, classe 1973

Mario Guglielmino, classe 1967

Salvatore Gurrieri, classe 1973

Francesco Privitera, classe 1993

Angelo Varoncelli, classe 1970

Affidamento in prova ai servizi sociali con obbligo di dimora

Andrea Mazzarino, classe 1987

Antonio Mangano, classe 1977


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