«Maturi e scafati», nonostante la tenera età. Così gli inquirenti definiscono i bambini - sotto i dieci anni - che sarebbero stati soliti assistere alle operazioni di preparazione delle dosi di sostanze stupefacenti da spacciare. Tutto nel quartiere a Nord di Catania, dove oggi i carabinieri hanno eseguito 54 arresti. Guarda foto e video
Mafia, papà e bimbi impacchettavano la droga «A S. G. Galermo l’economia era Cosa nostra»
In una stanza il padre e i figli, di meno di dieci anni. Lui impacchettava la droga e i bambini assistevano alla scena, assumendo modi di fare «maturi e scafati» nonostante la tenera età. L’economia di San Giovanni Galermo, secondo la procura di Catania, si regge ampiamente sullo spaccio di droga alle dipendenze di Cosa nostra: 50mila euro a settimana che sarebbero venuti dal traffico di sostanze stupefacenti non solo all’interno del quartiere, ma anche al Villaggio Sant’Agata, ad Adrano, Santa Maria di Licodia, Giarre e perfino Pachino. A reggerne le sorti, personaggi di spicco in grado di alternarsi, e sostituirsi rapidamente, nel caso di arresti delle forze dell’ordine: così dopo Enzo il biondo ci sarebbe stato Turi ciuri, seguito da Turi il puffo e, infine, da Enzo patata. Cioè i nomi con i quali sarebbero conosciuti, nell’ambiente, Vincenzo Guzzetta, Salvatore Fiore, Salvatore Gurrieri e Vincenzo Mirenda.
L’
inchiesta Doks – 54 indagati, 40 in carcere e 14 agli arresti domiciliari – prende le mosse dall’operazione Cavallo di ritorno di marzo 2015. Un blitz che aveva puntato a smantellare la rete di estorsioni alla base dei furti d’auto. Nel corso delle indagini, però, sarebbe emerso che alcune delle persone che si occupavano direttamente di chiedere il riscatto delle vetture, avrebbero avuto anche ruoli di rilievo nel gruppo di Galermo della famiglia Santapaola-Ercolano. Così è partito lo stralcio che, dopo due anni di indagini, ha portato agli arresti di questa mattina. Tra intercettazioni, pedinamenti e dichiarazioni di pentiti, alcuni fatti avrebbero trovato spiegazione in conflitti legati al controllo della compravendita di droga. Dei fratelli Mirenda (arrestati tutt’e tre), due – Vincenzo e Arturo – avrebbero tentato di uccidere Vittorio Benito Fiorenza. A fermarli, il fatto che quest’ultimo il giorno dell’agguato non fosse in casa. Così, in mancanza di lui, avrebbero minacciato con le armi in pugno i suoi familiari.
La comunione di intenti di Vincenzo e Arturo Mirenda, però, si sarebbe interrotta una volta ottenuto il comando del gruppo. E, dunque, quando si sarebbe dovuto decidere chi dei due ne sarebbe diventato il capo. Arturo, tentando di scalzare Vincenzo, si sarebbe rivolto a Salvatore Fiore (
Turi ciuri), arrestato nel 2013 nell’ambito dell’inchiesta Fiori bianchi 2 e attualmente in carcere. A portargli i messaggi sarebbe stata sua moglie, che avrebbe avuto il ruolo di postina durante i colloqui nella casa circondariale. «Il gruppo di San Giovanni Galermo ha dimostrato un grande capacità di riorganizzarsi – spiega il comandante dei carabinieri di Gravina di Catania, Martino Della Corte – Alcuni personaggi passavano rapidamente dalle dipendenze di uno o dell’altro capo, senza soluzione di continuità». Il tutto per garantire continuità alle entrate della cosca, necessarie anche a pagare gli stipendi di chi si trova dietro le sbarre e delle loro famiglie.
Tra chi è finito in manette oggi, però, non ci sono solo persone accusate di fare parte dell’associazione mafiosa. «Ci sono anche imprenditori – spiegano gli inquirenti – che erano posti sotto estorsione e che hanno rifiutato di collaborare con la giustizia. Tanto da diventare quasi conniventi.
L’intera economia del quartiere ruotava attorno alla criminalità organizzata di stampo mafioso». Come nella tradizione di Cosa nostra, un’altra fonte di sostegno sarebbe venuta dal racket e dalle rapine. Non solo nei confronti di esercizi commerciali, ma anche di privati cittadini (in quest’ultimo caso, si configurava con la richiesta di riscatto dopo il furto di una vettura). E poi c’erano i furti, perfino ai danni dei distributori di merendine all’interno delle scuole. Infine il recupero crediti: un terzo dell’importo sarebbe dovuto andare alla mafia. Ma così, almeno, gli imprenditori avrebbero avuto indietro i soldi che avevano eventualmente anticipato.
Gli arresti odierni
Giosuè Michele Aiello, classe 1993
Domenico Buttafuoco, classe 1978
Mario Maurizio Calabretta, classe 1988
Andrea Nicolò Corallo, classe 1982
Mario Diolosà, classe 1975
Salvatore Fiore, classe 1967
Andrea Florio, classe 1995
Giorgio Freni, classe 1965
Francesco Furnò, classe 1988
Vincenzo Gigantini, classe 1967
Armando Giuffrida, classe 1980
Francesco Iuculano, classe 1986
Silvana Leotta, classe 1976
Salvatore Lo Re, classe 1987
Salvatore Mantarro, classe 1965
Angelo Mirenda, classe 1964
Arturo Mirenda, classe 1961
Francesco Lucio Motta, classe 1986
Corin Musumeci, classe 1995
Desirée Musumeci, classe 1989
Domenico Musumeci, classe 1969
Carmelo Palermo, classe 1957
Salvatore Fabio Valentino Palermo, classe 1979
Salvatore Ponzo, classe 1986
Saverio Rampulla, classe 1986
Mario Russo, classe 1973
Antonino Savoca, classe 1990
Corrado Spataro, classe 1983
Damiano Salvatore Squillaci, classe 1993
Nicola Strano, classe 1964
Sottoposti agli arresti domiciliari
Diego Aiello, classe 1995
Alfredo Bulla, classe 1984
Alessio La Manna, classe 1988
Antonino Giuffrida, classe 1963
Antonino Cosentino, classe 1979
Vincenzo Florio, classe 1977
Vincenzo Mirenda, classe 1973
Alessandro Palermo, classe 1975
Salvatore Caltabiano, classe 1976
Antonino Russo, classe 1989
Già detenuti
Claudio Pietro Antonio Aiello, classe 1986
Daniele Buttafuoco, classe 1988
Claudio Calabretta, classe 1964
Nunzio Caltabiano, classe 1969
Vittorio Benito Fiorenza, classe /1981
Vincenzo Di Mauro, classe 1979
Massimo Vizzini, classe 1973
Mario Guglielmino, classe 1967
Salvatore Gurrieri, classe 1973
Francesco Privitera, classe 1993
Angelo Varoncelli, classe 1970
Affidamento in prova ai servizi sociali con obbligo di dimora
Andrea Mazzarino, classe 1987
Antonio Mangano, classe 1977