L'ex agente della Mobile, Giovann Aiello, ora indagato, secondo il pentito Galatolo, avrebbe frequentato vicolo Pipitone, zona dell'Acquasanta e roccaforte del boss Galatolo che ha dichiarato di aver visto lì anche altri due poliziotti, tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90: Bruno Contrada e l'ex questore Arnaldo La Barbera, morto nel 2002
Mafia, omicidio Agostino-Castelluccio Confronto all’americana con Faccia da mostro
Va avanti, davanti al Gip di Palermo Maria Pino, l’incidente probatorio per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino, ucciso il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di carini, insieme alla moglie Ida Castelluccio che era incinta.
Secondo quanto dichiarato dal pentito Vito Galatolo, Agostino, il giorno del fallito attentato al giudice Giovanni Falcone il 20 giugno 1989, sarebbe stato sulla scogliera dell’Addaura. E proprio la sua presenza avrebbe disorientato Angelo Galatolo, cugino del boss, che perse in mare il telecomando dell’esplosivo, 58 candelotti di dinamite, che vennero scoperti e inesplosi, il giorno dopo. Galatolo ha parlato di collusioni tra mafiosi e apparati dello Stato, pezzi di Servizi, collusioni contro cui lottavano l’agente Agostino, ma anche l’agente Emanuele Piazza, ucciso con il metodo della lupara bianca nel marzo del 1990.
La presenza di Agostino all’Addaura, è confermata anche dal collaboratore di giustizia Vito Lo Forte che nel 2009 dichiarò che l’agente insieme al collega Emanuele Piazza, anch’egli agente del Sisde, si trovava sul posto la mattina del 20 giugno 1989 ovvero il giorno prima del fallito attentato a Falcone e «riuscirono ad impedire che l’attentato si compiesse, fingendosi sommozzatori e rendendo inoffensivo l’ordigno nelle ore notturne antecedenti al ritrovamento». Ma nel 2011, il pool di periti nominati dal gip di Caltanissetta Lirio Conti ha stabilito che il Dna delle cellule epiteliali, estratte dalla muta subacquea e dal borsone ritrovati, non erano compatibili con quelle di Agostino e Piazza.
Punto centrale in questo incidente probatorio, è però Faccia da mostro, così pare sia soprannominato l’ex agente della squadra mobile Giovanni Aiello, accusato dal pentito Vito Lo Forte, di essere coinvolto nell’omicidio Agostino-Castelluccio. Aiello è indagato e secondo il pentito Galatolo, avrebbe frequentato vicolo Pipitone, zona dell’Acquasanta, roccaforte del boss che ha dichiarato di aver visto lì anche altri due poliziotti, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90: Bruno Contrada e l’ex questore Arnaldo La Barbera, morto nel 2002.
Durante la prima giornata di incidente probatorio, l’ex boss Vito Lo Forte ha dichiarato di avere saputo dell’omicidio di Agostino «da Gaetano Vegna» e Agostino era stato ammazzato da «Nino Madonia, che sparò, e da Gaetano Scotto, che guidava la moto». Il ruolo di Aiello fu quello di «prelevare con una macchina ‘pulita’ Madonia e Scotto, che avevano eseguito l’omicidio, e di aiutarli a bruciare la motocicletta usata nell’attentato». Inoltre, secondo il pentito, l’omicidio «era stato fatto per fare un favore ad importanti funzionari della Polizia».
La prossima udienza è fissata per il 19 febbraio e per quel giorno ci sarà un confronto all’americana tra Aiello (e altri uomini con una fisionomia simile) e Vincenzo Agostino, il padre dell’agente ucciso. E questo perchè secondo quanto raccontato da Agostino, pochi giorni prima dell’omicidio, un uomo con la “faccia da mostro” andò a casa degli Agostino, a Villagrazia di Carini, dicendogli che era un collega del figlio.