I carabinieri del Reparto operativo speciale dei carabinieri hanno eseguito un decreto di fermo, emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, nei confronti di 23 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione e altri reati aggravati, poiché commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose. In azione, nell’ambito dell’operazione denomina Xydi, anche i carabinieri dei comandi provinciali di Agrigento, Trapani, Caltanissetta e Palermo, del XII reggimento Sicilia, dello squadrone eliportato cacciatori Sicilia e del nono nucleo elicotteri.
Matteo Messina Denaro, capomafia trapanese latitante da 28 anni, è ancora riconosciuto come l’unico boss cui spettano le decisioni su investiture o destituzioni dei vertici di Cosa nostra. Anche il boss compare tra i destinatari del provvedimento di fermo ma nei suoi confronti non è stato eseguito. Il ruolo del capomafia di Castelvetrano viene fuori nella vicenda relativa al tentativo di alcuni uomini d’onore di esautorare un boss dalla guida del mandamento di Canicattì. Dall’indagine emerge che per realizzare il loro progetto i mafiosi avevano bisogno del beneplacito di Messina Denaro che continua, dunque, a decidere le sorti e gli equilibri di potere pur essendo da anni imprendibile. Tra gli altri nomi di spessore c’è quello del padrino Antonio Gallea, condannato all’ergastolo per essere tra i mandati dell’omicidio del giudice Rosario Livatino. Gallea era stato scarcerato nel 2015 dopo avere trascorso 25 anni dietro le sbarre.
Gli inquirenti hanno accertato anche che una ì50enne, l’avvocata Angela Porcello, compagna di un mafioso, aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attività dei clan. Rassicurati dalla legale sulla impossibilità di effettuare intercettazioni nel suo studio, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate e il nuovo capo della Stidda si ritrovavano, secondo le indagini, nello studio per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra.
Le centinaia di ore di intercettazione disposte dopo che, nel corso dell’inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di fare luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne alle cosche e di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni. Uno spaccato prezioso che ha portato all’identificazione di personaggi ignoti agli inquirenti e di vecchi boss ancora operativi. L’indagine del Ros è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.
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