Mafia, lo strano trio arrestato oggi: dalla gestione delle estorsioni in corso Calatafimi alle bastonate per la picciuttiedda incinta

Uno strano trio. Non a caso ritenuto non proprio all’altezza da alcuni storici vertici mafiosi del mandamento di Palermo Pagliarelli. Si tratta di Paolo Suleman, 47 anni; Rosario Lo Nardo, 41anni, e Giuseppe Marano, 71 anni, i tre palermitani arrestati oggi dai carabinieri del capoluogo siciliano con l’accusa di avere gestito le attività della famiglia mafiosa di corso Calatafimi. In particolare, a Suleman viene contestato il ruolo di reggente, non solo in qualità di coordinatore delle estorsioni nella zona e di gestore della bacinella dei proventi con cui provvedere alle famiglie dei detenuti ma, secondo gli inquirenti, si sarebbe trattato di un capo operativo, «partecipando a pestaggi per la risoluzione di controversie». La gran parte del lavoro dei tre si sarebbe comunque basata sul pizzo: pescheria, macelleria, polleria, panificio, parrucchiere, le varie attività commerciali taglieggiate con un metodo consolidato e una richiesta quasi standard di 500 euro. Non senza qualche imprevisto e alcuni screzi interni sulla gestione dei problemi.

Le origini degli arresti e della reggenza di Suleman

Pochi collaboratori di giustizia e una certa rigidità nelle regole. Compreso l’attaccamento alla tradizione, dimostrato dal richiamo ai «valori fondanti dell’associazione mafiosa» durante alcune riunioni dal vivo – ormai sempre più rare – almeno fino al 2022. Ma anche la presenza di alcuni uomini d’onore riservati, la cui identità era conosciuta solo da pochi associati. È stata questa la pista seguita dagli inquirenti a partire dalle indagini su un’altra famiglia mafiosa dello stesso mandamento, quella di Rocca Mezzo Monreale, e dall’antico tentativo dei suoi esponenti di stringere delle alleanze con il mandamento di Castelvetrano perché «là ci sono tutti i latitanti». Indagini che hanno portato a disarticolare il vertice del mandamento Pagliarelli e a seguire il suo tentativo di ricostruzione, in cui sarebbe appunto maturata l’ascesa criminale di Suleman. Una promozione che non convinceva tutti i vertici, ma comunque guadagnata sul campo con condanne pregresse per mafia per essere stato «particolarmente attivo nell’avanzare richieste estorsive e perpetrare danneggiamenti ai danni dei commercianti di corso Calatafimi che rifiutavano la messa a posto». Un nuovo capo a cui si sarebbe deciso di affiancare due uomini operativi: Lo Nardo e Marano, componendo «un trio con un’attitudine particolarmente violenta». Ma non senza differenti approcci interni.

La gestione delle estorsioni

Una gestione a progetto, quella affidata a Suleman dai vertici del mandamento, con il preciso scopo di portare liquidità nelle casse e provvedere ai propri detenuti. Tra cui spicca Filippo Annatelli, ex reggente della famiglia di corso Calatifimi, accusato da Suleman di essere stato meno generoso a parti inverse – quando a essere in carcere era proprio lo stesso Suleman – e avrebbe dovuto pensare lui al suo mantenimento. «Quando sono mancato io, tuo padre un chilo di carne non me l’ha mandata, quindi questo pensiero che gli arriva…», dice riportando una conversazione avuta con il figlio di Annatelli; «”Perché sono un signore!“, gliel’hai detto?», lo precede Marano, il suo interlocutore. Il metodo dei tre per portare avanti il pizzo, secondo gli inquirenti, era sempre lo stesso: Suleman decideva le attività da taglieggiare, Marano le approcciava con una velata richiesta e, qualora avesse incontrato resistenze, subentrava Lo Nardo, considerato il più violento tra loro. Così tanto da preoccupare lo stesso Marano, portatore di una linea più diplomatica, secondo la quale basterebbe «ammansiri i cristiani», calmare le persone, e non minacciarle esplicitamente. Eppure, insisteva anche Suleman, i modi dovevano essere fermi. Senza sconti per eventuali situazioni di difficoltà economica. «Credimi – dice a Marano – sono intenzionato male con tutti! Se li facciano prestare, a me non mi interessa. Allora che minchia ci stiamo a fare qua?!». Per poi impartire l’ordine: «Digli che venerdì ti da i picciuli e taglia il discorso. Vogliono qualche bottiglia di benzina dentro a putia». Oppure, come variante: «Se no ti faccio trovare tutte cose fuori in mezzo la strada».

L’aggressione per l’onore di una picciuttiedda

Ma Suleman non si sarebbe limitato a svolgere il compito a lui affidato. Controllando il territorio e provando a dirimere anche controversie private. Come nel caso di un’aggressione avvenuta a novembre del 2022, partita da cause non chiarissime agli stessi inquirenti, ma certamente legate a una relazione sentimentale tra un uomo conosciuto da Suleman e una ragazza che si darebbe trovata in condizioni di difficoltà. «E si sono ammazzati come i cani. Francesca gli ha alzato le mani, lui gli alzava le mani… – racconta il presunto reggente – So che l’hanno portata all’ospedale perché stava abortendo». Intorno alle 10.30 del mattino i tre vanno a cercare l’uomo a casa sua, per procedere al pestaggio. Schiaffi da cui presto si passa a metodi più duri: «Prendi la mazza! – dice Suleman a Lo Nardo, captato dalle microspie ambientali insieme al rumore dei colpi – Ti devo rompere una gamba! Perché tu rispetto per me non ne hai avuto! Quella picciuttiedda incinta!». Un agguato – interrotto solo grazie all’intervento di una donna – che ha impensierito non poco Marano: «Lo stava ammazzando. Amunì, prima che vengono gli sbirriPerché così si danno i colpi di legno? Quello mi fa, dice: “Vi conosco a tutti!”. Questo ci fa arrestare a tutti!».


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