Mafia e aziende: il caso “Victim Srl”

La mafia della lupara e della coppola da tempo sta lasciando il posto alla mafia imprenditrice, quella che punta al profitto infiltrandosi nel sistema economico del paese per re-investire i proventi illegali in eccesso e riciclare denaro sporco, al Sud come al Nord.

La presentazione “Mafia e aziende: come una cosca si impossessa di un’azienda”, firmata dal ventunenne siracusano Stefano Gurciullo per il Progetto Quattrogatti, si propone di fare chiarezza sul rapporto tra mafia e economia, analizzando uno dei metodi adottati dalla criminalità organizzata per infiltrarsi: l’accaparramento di un’azienda, spiegandone le ragioni e le tattiche grazie alla storia vera di un’azienda del sud. Il dossier è l’ultima pubblicazione di questo gruppo di giovani professionisti e ricercatori con lo scopo di fare informazione in modo semplice e efficace nel campo economico e delle scienze sociali.
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Stefano Gurciullo risponde alle nostre domande da Londra, dove sta completando un corso di laurea in Economia e Scienze Politiche alla School of Oriental and African Studies (SOAS).

Ti stai laureando alla SOAS di Londra con una tesi sulle attività delle mafie colombiane in Africa dell’Ovest. Come mai hai deciso di studiare all’estero e di intraprendere questo tipo di studi?
Dopo le scuole superiori ho deciso di intraprendere gli studi universitari direttamente in Gran Bretagna, dove il sistema di studi permette una maggiore interdisciplinarità e garantisce allo studente un buon grado di autonomia nella scelta dei corsi, e la SOAS mi ha attratto per via dei miei interessi verso i Paesi dell’Africa e dell’Asia. La mia tesi, che completerò alla fine di questo mese – incrociando le dita! – tenta di spiegare per quali ragioni e con quali conseguenze i cartelli colombiani della droga sono arrivati fino in Africa dell’Ovest, in particolar modo in Guinea-Bissau. La notizia non è apparsa molto sui media – qualcosa è stato pubblicato sul TIME e sul Guardian – ma dal 2005 gruppi criminali colombiani usano queste terre come crocevia dell’export di cocaina in Europa. Le conseguenze per la Guinea-Bissau sono tremende: si potrebbe parlare del primo caso di ‘colonizzazione’ di una nazione da parte di un gruppo criminale esterno.

Mafia e economia sono certamente tue materie di studio, ma come mai hai scelto per il tuo primo lavoro con Quattrogatti proprio il tema del rapporto tra criminalità organizzata e aziende?
Ho voluto informare il pubblico di una pratica ben più diffusa di quanto si possa percepire. Ormai si parla, fortunatamente, spessissimo di mafia, ma sono davvero pochi i documenti che descrivono l’infiltrazione mafiosa nell’economia legale a un pubblico non esperto. La presentazione è dunque un modo per riempire – anche se parzialmente – questo vuoto. Le organizzazioni criminali sono diventate in tutto e per tutto dei business, aventi il mero profitto come scopo. I cittadini devono prendere coscienza di questa mutazione, avvenuta gradualmente negli ultimi vent’anni.

Tu sei di Siracusa. Pensi che il tuo essere siciliano abbia influito nel tuo interesse per lo studio delle mafie e in particolare del rapporto economico con le aziende?
Più che il semplice essere siciliano, credo che mi abbia motivato il vedere la Sicilia da fuori. All’età di 16 anni ebbi la splendida opportunità di completare gli ultimi due anni di scuola superiore in un Collegio del Mondo Unito, una scuola dove gli studenti provengono da più di 80 Paesi diversi. Il confrontarmi con ragazzi cresciuti in una realtà completamente diversa dalla mia scatenò in me una serie di riflessioni sul posto da cui venivo e sui problemi che lo affliggevano. Questo, insieme a uno spiccato interesse per le scienze sociali, mi convinse a tentare di capire i modi in cui le mafie agiscono su un territorio, la sua popolazione e l’economia, con la speranza di poter poi dare un contributo alla lotta contro il crimine organizzato.

Perché la mafia si impossessa di un’azienda?

I motivi principali sono, a mio avviso, quattro: il bisogno da parte delle cosche di re-investire i proventi illegali in eccesso, la possibilità di riciclare denaro sporco, l’opportunità di creare consenso nella loro zona d’azione e di creare contatti con organizzazioni statali o enti vicini ad esse.

Quali sono i punti principali che emergono dalla tua analisi?
Una conclusione particolarmente rilevante è che le cosche usano strategie lungi dall’essere casuali o violente. Al contrario, la mafia adopera un’intelligente tattica di ‘soffocamento’ dell’azienda, che comprende l’uso del pizzo e dell’usura, l’infiltrazione di manodopera criminale, il controllo della fornitura all’impresa vittima e della domanda dei beni che essa produce. In tal modo, i costi di produzione aumentano e i profitti diminuiscono. Soffocata dai debiti, l’azienda alla fine verrà, nella maggior parte dei casi, acquisita dalla cosca.

Il vostro gruppo si chiama Quattrogatti. Come mai? Perché siete pochi voi o perché sono pochi quelli che fanno questo tipo di informazione?
Essendomi unito al gruppo solo nel novembre scorso, forse non sono il più adatto a rispondere a questa domanda. Quando ne ho chiesto la ragione ai fondatori Fadi Hassan, Paolo Lucchino e Salvatore Morelli, una bella storiella è saltata fuori. I tre erano sul punto di pubblicare la loro prima presentazione, quando si accorsero che al progetto mancava ancora un nome. Stanchi e con gli esami universitari alle porte, si sono messi a sparare nomi a caso fino a quando la parola ‘quattrogatti’ venne detta da Salvo e accolta senza contestazioni. La forse non nobile origine del nome è però riscattata dal fatto che, alla fine, rimasero davvero in quattro. “Quattrogatti” rispecchia inoltre la scarsa partecipazione dei giovani in progetti come questi. Si spera che in futuro, col crescere del sito, Quattrogatti diventi solo un titolo ironico.

Di certo non sono poche le persone alle quali vi rivolgete, visto il modo in cui fate informazione, con grafici, animazione, suoni…
Giustissimo. Tramite l’utilizzo di presentazioni, video e animazioni pensiamo che sia possibile informare il pubblico in modo più immediato, semplice e intuitivo. L’eterogeneità dei nostri lettori, che spaziano dagli studenti liceali a professionisti e ricercatori, ci rende felici e conferma che il nostro metodo funziona.

Voi vi proponete “l’obiettivo di comunicare in maniera accessibile argomenti spesso incomprensibili per i non addetti ai lavori e, al tempo stesso, fare chiarezza su tanti temi – come l’immigrazione, i cambiamenti climatici, il sistema politico – di cui spesso, purtroppo, si parla in modo inesatto e superficiale”. Il vostro sembra un giornalismo didattico; per esempio il tuo lavoro, ma anche gli altri, come quello sull’immigrazione, potrebbe essere usato anche a scuola. Sei d’accordo con questa definizione?
La parola informare contiene, non a caso, il verbo formare. La formazione del lettore è difatti uno degli obiettivi del progetto Quattrogatti, come dimostrano la mia presentazione o quelle sulla crisi del sistema economico. Ritengo quindi che un uso didattico dei nostri lavori sarebbe più che azzeccato. Tuttavia, non so se qualcuno l’abbia già fatto. Lo spero, però.

Quanto bisogno c’è di un’informazione così nel nostro Paese?
L’informazione alla Quattrogatti dovrebbe sempre accompagnare il giornalismo di stampo, per così dire, più tradizionale. A che serve leggere un editoriale sulla crisi finanziaria se prima non si capisce il funzionamento base dei mutui subprime? Come possiamo essere a favore, contro o indifferenti alla privatizzazione dell’acqua senza sapere a grandi linee l’impatto che questa può avere su una comunità? E in un tema caldo come quello dell’immigrazione, non dovremmo avere un panorama libero da correnti ideologiche, nei limiti del possibile, prima di esprimere la nostra opinione?
Il cittadino ha il diritto di avere un’informazione ‘di base’, su cui costruire i propri giudizi da condividere con la classe politica. E questo è vero soprattutto in Italia, dove – nelle vesti di cittadino e lettore di giornali – mi è spesso capitato di provare un senso di alienazione nel confrontarmi con temi di cui so poco e su cui le informazioni ‘di base’ disponibili sono esigue.

Firmerai altri lavori per Quattrogatti?
Ci sono altri progetti in cantiere, su cui mi cimenterò una volta completato il corso di laurea, a inizio giugno. Ho in mente una presentazione che spieghi i meccanismi di riciclaggio internazionale di denaro sporco e forse un approfondimento sull’infiltrazione mafiosa nell’economia. Ma non rivelo altro, meglio creare un po’ di suspense.

Sei molto giovane e hai già un curriculum invidiabile, cosa vuoi fare “da grande”?
Invidiabile? Macchè, ho ancora tanta strada da fare. Ho tanti progetti per il futuro. Uno a cui tengo in modo particolare è contribuire a un rinnovamento dell’Antimafia. Quando si parla di Antimafia, nella sua sfaccettatura istituzionale, si presume quasi sempre che essa sia composta dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. Negli ultimi vent’anni però le mafie si sono trasformate in enormi ed efficientissime macchine del profitto, con radici raramente situate in un solo Paese. Alla globalizzazione e liberalizzazione del crimine organizzato deve seguire l’internazionalizzazione e – scusate il brutto neologismo – ‘l’inter-disciplinarizzazione’ del suo contrasto. Il primo processo è già in atto ed Eurojust ne è un esempio. Il secondo, invece, non so neanche se sia cominciato. C’è bisogno, ad esempio, di economisti ed altri scienziati sociali che lavorino nella progettazione di politiche economiche per prevenire e scoraggiare le infiltrazioni mafiose nei sistemi economici, nazionali ed internazionali.


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L’ultimo lavoro del Progetto Quattrogatti - gruppo di giovani che si propone di fare informazione in modo semplice e efficace nel campo delle scienze sociali - spiega come le cosche si impossessano di un’azienda per infiltrarsi nel sistema economico del nostro Paese, analizzando – anche grazie a fonti riservate – la “discesa agli inferi” di una ditta di costruzioni. Step1 ne parla con l’autore, il ventenne siracusano Stefano Gurciullo

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