Mafia, smantellato il clan di Santa Maria di Gesù Il principale scelto al ristorante per alzata di mano

«Un territorio particolarmente pericoloso». Sono queste le parole che il vice comandante dei Ros, il colonnello Giancarlo Scafuri, utilizza per descrivere il mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù, disarticolato con l’operazione Falco, scattata questa mattina all’alba e che ha portato all’arresto di 27 presunti esponenti del clan. Sono accusati, a vario titolo, di partecipazione e associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga, rissa, furto, trasferimento fraudolento di valori ed esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa. «L’indagine nasce in realtà nel 2010 e viene poi spezzata in più tronconi, che hanno portato anche ad altre operazioni – spiega il colonnello Scafuri -. Non significa che abbiamo concluso e che Cosa nostra da oggi non esiste più. Oggi è stata disarticolata una componente importante, ma provano a riorganizzarsi di continuo».

La famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, in particolare, fino a questo momento ha scelto di continuare a seguire la tradizione per riassestare le gerarchie interne, attraverso un vero e proprio «sistema elettorale mafioso»: il 10 settembre 2015, monitorati a loro insaputa dagli investigatori, sono in dodici i presunti uomini d’onore che si incontrano in un ristorante per eleggere il loro nuovo capo. Si vota «ad alzata di mano …per vedere l’amico». Mentre in passato si utilizzavano delle urne chiuse. Ad avere la meglio, secondo quanto risulta dalla indagini, è Giuseppe Greco, riconfermato reggente e arrestato l’anno scorso. È lui il cosiddetto principale. Mentre Natale Giuseppe Gambino e Gaetano Messina vengono scelti per rivestire rispettivamente il ruolo di sottocapo e di consigliere. Carica di capodecina invece per Francesco Pedalino e Mario Taormina, sempre secondo le ricostruzioni. Le elezioni erano precedute addirittura da una sorta di attività di propaganda a favore dei candidati, in modo quasi del tutto speculare a quello che accade realmente per le elezioni politiche.

Ma l’esigenza di riorganizzare la famiglia, in realtà, partiva da più lontano. Dall’omicidio dello storico capo mandamento Giuseppe Calascibetta a settembre 2011. Fibrillazioni, quelle per i nuovi assetti della cosca, che non si sono fatte mancare risse e fatti di sangue, come un altro omicidio eccellente, quello di Salvatore Sciacchitano, di una fazione opposta a quelle all’epoca che si contendevano posizioni e ruoli. È un territorio particolare quello di Santa Maria di Gesù, dove la famiglia mafiosa appena smantellata da un’operazione il cui nome fa diretto riferimento al boss Stefano Bontate, detto il Falco e ucciso nell’81. Un territorio dove il controllo e il riconoscimento esterno di Cosa nostra sono ancora preponderanti. Fino al punto che nessuno dei commercianti ha denunciato autonomamente, a differenza delle reazioni delle vittime che subivano il pizzo dai presunti sodali del clan di Borgo Vecchio, smantellato la scorsa settimana. Alcuni imprenditori, addirittura, si sarebbero rivolti di propria iniziativa ad alcuni indagati per ottenere alcuni incarichi di lavoro presso terzi. Sono tre le estorsioni che ai militari risultano consumate, e altrettante quelle tentate e non andate a segno.

E per mantenere il controllo, i presunti sodali non si fanno scrupoli a ricorrere anche alla violenza. Anche solo come conseguenza a una provocazione, non per forza a un atteggiamento di diniego o di rifiuto da parte di qualche vittima. Come la rissa scoppiata in un locale di via dei Chiavettieri in centro, ripresa in video dagli avventori e fatta circolare, e a cui avrebbero preso parte cinque degli indagati colpiti dall’operazione di oggi. «Solo un fatto a sé. Questi episodi di estrema violenza esprimevano posizioni di potere, la loro forza in un certo senso», precisano i militari. «Una delle risse sulle quali abbiamo indagato, ad esempio, scoppiata sempre dentro a un locale è partita dalla richiesta insistente di un cliente di sentire le notizie del telegiornale in televisione, richiesta che non ha fatto piacere a uno degli indagati, che è venuto alle mani», spiegano.

Il rispetto delle regole di Cosa nostra, però, non vale solo per le vittime. Vale, ancora di più, per chi fa parte dell’associazione criminale. Alcuni sodali, infatti, vestono i panni di insegnanti e improvvisano vere e proprie lezioni di mafia, da impartire agli affiliati più giovani sulla gerarchia interna e sui comportamenti da tenere con ognuno. «Quando parliamo di Cosa nostra, parliamo di Cosa nostra. Quando dobbiamo babbiare, babbiamo», avrebbe detto intercettato il capo in persona, Greco, a un adepto che gestiva le estorsioni. «A Borgo Vecchio meravigliosa partecipazione fattiva di commercianti e imprenditori, mentre in questo territorio non è stato riscontrato lo stesso sostegno e la stessa collaborazione. Il mio auspicio è che i commercianti di ogni zona ricorrano allo Stato, per abbattere del tutto il muro dell’omertà e della paura», conclude il colonnello Antonio Di Stasio, comandante provinciale dei carabinieri. 

Silvia Buffa

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