Luca Prete, lo street artist dell’artivismo «Non sei un creativo se non vivi il tuo tempo»

«Astrarsi è facile, ad allontanarci dalla realtà ci riusciamo tutti. È affrontarla che è difficile, parlarne, criticarla. Io coi miei lavori tento di fare questo». In una frase c’è un manifesto d’artista. Anzi, di creativo, perché «artista è una parola che proprio non mi piace». Luca Prete ha 36 anni e le sue opere sono a disposizione di tutti i cittadini di Catania. Perché lui le mette per la strada, sui palazzi, le dipinge sui marciapiedi e le attacca sui segnali stradali. Fa street-art. Ma siccome la rivolge alla società, sarebbe meglio chiamarlo «artivismo». Porta Botticelli sulle scivole non a norma per disabili, appende una gabbietta per uccelli alla statua acefala di via Dusmet per manifestare contro la vivisezione, fa apparire una stella cometa metà israeliana e metà palestinese sugli archi della marina e, in ultimo, invita i catanesi a usare i cestini per la spazzatura a San Giovanni Li Cuti.

The commerz band

«Secondo me, non puoi definirti un creativo se non vivi il tuo tempo – sostiene Prete – se sei lontano dalla cronaca di ogni giorno commetti un errore, perché rimani ingabbiato nelle tue convinzioni da artista col naso all’insù». E lui non potrebbe essere più distante da quell’immagine: «Io ho cominciato dalla strada, niente scuole né accademie», ricorda. Ha sempre disegnato, «sin da bambino», poi intorno al 1995 ha iniziato a fare graffiti fuori città. «Ho sempre avuto questo bisogno di comunicare, anche se all’epoca erano solo nudi pezzi sui muri», dice. Poi le cose sono cambiate: «A poco a poco, ho iniziato a voler rappresentare le cose che non andavano, ho cominciato a voler evidenziare alcuni problemi sociali nei miei lavori». Prima sono stati i disegni, quindi è stato il turno della pittura, e presto è stato il momento anche della scultura: «Nel 2003 ho iniziato a costruire delle città usando le graffette». Le puntine, quelle delle macchine pinzatrici. «Anche quelle sono una critica: ho ricreato Francoforte partendo da un grattacielo, per parlare dell’Europa governata dalle banche. Quell’opera si chiama The commerz band, la banda del commercio».

Da due anni e mezzo, poi, fa parte del gruppo di lavoratori dell’arte che hanno occupato il teatro Coppola, in via Vecchio bastione. «All’inizio ho dato una mano dove serviva, lì ci siamo tutti rimboccati le maniche», spiega Luca Prete. «Io lavoro per un albergo a Taormina, spesso neanche tornavo a casa per andare ad aiutare a ristrutturare il Coppola – afferma – Ma non è che io fossi un santo: lo facevamo tutti». Adesso, però, da quella esperienza ha deciso di prendersi una pausa: «Ho bisogno di un po’ di spazio per me, per portare a termine i miei lavori interni, quelli che faccio a casa mia, e per fare qualcosa negli esterni, cioè con la street-art». Che poi è la sua più grande passione. Tanto da aver fondato il collettivo di artisti Res publica temporanea: «È iniziato tutto assieme ad Alessandro Grasso, ma nel tempo si sono aggregati tante altri ragazzi bravissimi». «La produzione artistica è sempre una cosa personale, ma quando lavori in gruppo diventa una cosa, come dire?, sociale. Cioè, contemporaneamente pubblica e soggettiva».

E l’aspetto della condivisione è quello che più affascina Prete: «Il quadro sta in un posto chiuso, se non ci vai con quello scopo non lo vedi. La street-art, invece, avvicina l’arte alla gente, la porta in luoghi imprevedibili, costringe le persone a cambiare lo sguardo con cui si approcciano alla città». Per questo non può avere regole, «sarebbe come tentare di mettere le briglie a un cavallo che è nato libero: forse è anche per questo che molti street-artist vengono da mondi diversi da quelli delle scuole e delle accademie». Un’opera d’arte che sta per la strada, «è un regalo, sai che la perderai e la metti là lo stesso perché la stai donando». Per questo lui, dei suoi lavori, si augura che li porti via qualcuno per appenderli a casa sua: «È meglio che sapere che li ha presi un messo comunale per buttarli via».

Come un’opera di street-art ha una vita breve, così è velocissimo il momento in cui viene partorita: «L’artivismo vive di quello che ti succede attorno, non sai mai cosa potrà pizzicarti il cervello». E certe cose, spesso, non sono così evidenti: «Sono stato educato ad avere una grande attenzione – racconta il creativo – Per me nulla è stato facile, nella mia vita non ho avuto il tempo di pensare alle cazzate: si dice che sono il luogo e le situazioni a creare il santo, che vuol dire che è dove cresci a determinare chi sei. Nessuno mi ha mai regalato nulla, forse è per questo che mi interessano i problemi degli altri. Perché magari se hai una vita troppo tranquilla, finisce che ti adagi». E per quanto siano in parte le difficoltà a essere fonte d’ispirazione («Se non stai in bilico perdi qualcosa»), a Luca Prete basterebbe poco per essere più tranquillo: «Non dico vivere d’arte, sarei contento anche solo se non dovessi ammuttare il frigorifero da giorno 5 a giorno 31», sorride.

[Foto di Luca Prete su Facebook]

Luisa Santangelo

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