Lo Zen e la devastazione della statua di Falcone «Lì la gente s’identifica con come viene dipinta»

Dai giornali locali a quelli nazionali. I lanci delle agenzie, le fotografie rubate e una pioggia di commenti a mezzo social, Facebook in testa. La notizia della statua di Giovanni Falcone distrutta e poi trasformata in ariete e scagliata contro un muro all’interno del cortile dell’omonima scuola di via Pensabene, nel quartiere Zen, ha sollevato un’indignazione popolare di massa. Da Sud a Nord non c’è stato cittadino che non abbia deciso di manifestare il proprio sdegno per un gesto tanto riprovevole. A gettare ulteriore benzina sul fuoco è stato un altro episodio accaduto solo poche ore più tardi, sempre a Palermo: alcuni ignoti hanno bruciato un cartellone con un’immagine del magistrato posizionato davanti ai cancelli della scuola Alcide De Gasperi, in piazza papa Giovanni Paolo II. Vicende sulle quali è anche intervenuto il premier Paolo Gentiloni, che in un tweet ha scritto che «oltraggiare la memoria di Falcone è una misera esibizione di vigliaccheria».

Impossibile non condannare gesti di questo tipo. Ma è triste quanto sintomatico vedere come l’indignazione, da Palermo in su, funzioni a intermittenza, con i palermitani ora giudici severi ora esperti della realtà delle periferie. «Un dualismo che comporta l’autoghettizzazione dello Zen: se un ragazzino di questo quartiere dall’esterno viene colpevolizzato per essere nato e cresciuto qui, gli riesce più difficile emanciparsi, non avrà aspettative e non sarà spinto a fare di più», commenta Mariangela Di Gangi, presidente del Laboratorio Zen insieme. Non tutto però è legato al contesto in sé, «il fatto ad esempio della distanza geografica rispetto ad altri luoghi della città è molto penalizzante e precede la conoscenza stessa del quartiere – torna a dire – Per anni lo Zen è stato raccontato in un modo, fino a far convincere gli abitanti stessi di essere in quel modo là. Una condanna a priori. Così anche le opportunità più banali in quel quartiere diventano complicate».

Sull’atto vandalico alla scuola Falcone, invece, Di Gangi ha un suo punto di vista molto chiaro: «È stato un gesto molto audace e importante quello di intitolare una scuola a Giovanni Falcone in quel quartiere. Perché i segnali si danno anche in questo modo. Sicuramente quello di lunedì è un atto molto grave». È convinta, però, che dietro questo episodio non ci sia un disegno più grande riconducibile alla mafia in senso stretto. «È chiaro che non si tratta di una bravata, quel busto è pesante da spostare, ci sarà voluta una certa forza e si sono introdotti a scuola appositamente per farlo – continua – Tutti nel quartiere sanno che in quella scuola l’impianto di videosorveglianza non funziona, quindi non c’erano grandi deterrenti. Quello su cui noi tutti dobbiamo interrogarci oggi è perché questo segnale accade ora in questa scuola». L’istituto da tempo, infatti, non era più oggetto di gesti simili.

«È significativo che la scuola non senta la necessità di confrontarsi con una realtà come la nostra o come le altre, questo mi lascia perplessa – dice infatti – Probabilmente la chiave di tutto è questo: la connessione assente o da ricostruire con il territorio». Sono il dialogo e il confronto la migliore soluzione, secondo Di Gangi. Che per prima cosa ha proposto di organizzare un’assemblea pubblica nel quartiere, insieme alla dirigenza scolastica e alle altre associazioni. «I più giovani hanno già acquisito una certa sensibilità verso questi temi. Quello che bisogna fare adesso è far passare con forza il concetto che antimafia significa tutela e fruibilità dei diritti, e solo in quel modo in un quartiere così povero come il nostro riesci davvero a fare percepire come fondamentale la battaglia alle mafie, soltanto collegandola a delle conseguenze reali nella vita delle persone». 

Riguardo alle reazioni scatenate dall’episodio di lunedì, una in particolare ferisce Di Gangi, quella della sorella del magistrato: «Ancora è presto per capire cosa è successo davvero, lo capiremo nei giorni che verranno. Però nessuno di noi è rimasto tanto sorpreso dal fatto che sia successa questa cosa. Mi ha allarmata tantissimo soprattutto la reazione di Maria Falcone: sentirla commentare come se si trattasse di un episodio che denotava assenza di sicurezza mi ha fatto accapponare la pelle – conclude – Non sono d’accordo al pensiero che episodi come questi si contrastino con maggiore polizia o con la volante davanti alla scuola, guardia e ladri. Quando succedono cose del genere anzi la scuola deve aprirsi di più, deve essere trasparente».


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