L’Italia mantiene la Sicilia o la Sicilia mantiene l’Italia? Operazione verità con i numeri alla mano

Quando qualcuno sui media nazionali azzarda timidamente a dire che anche la Sicilia è stufa di questo stato vessatore, è subito “azzannato” da una grande canea: la Sicilia senza l’Italia? Non riuscirebbe neanche ad illuminare i lampioni per strada, è una follia, una provocazione…

È ora di finirla con le parole al vento e di cominciare a fare un po’ di conti.

Mi sono detto: “Ma io non studio queste cose di professione?” Dove posso trovare qualche dato così la finiamo di affidare alla pura retorica un discorso che dovrebbe avere basi contabili certe? L’Agenzia delle Entrate e la Ragioneria generale dello Stato sono molto restie a divulgare conti regionalizzati, ma un “buco” in questo muro di omertà c’è: i Conti Pubblici Territoriali pubblicati e resi disponibili on line dal Ministero dello Sviluppo Economico. Sono andato a compulsarli e sono usciti questi dati. Guardiamoli insieme.

Partiamo da una (brevissima) premessa metodologica. Ho preso i dati dell’ultimo quadriennio: 2009-2012. Ho fatto la media, e poi ho rettificato i dati solo se in possesso di elementi certi che indicano un trend diverso dalla semplice media aritmetica. I risultati sono sorprendenti.

La primissima impressione è però sconfortante.

La Sicilia registrerebbe infatti una media di 55 miliardi di spesa pubblica, a fronte di 45 miliardi di entrata pubblica. Saremmo dunque una “palla al piede”, per ben 10 miliardi di euro l’anno. Nel caso fossimo veramente indipendenti quindi dovremmo o tagliare la spesa di 10 miliardi l’anno (non molti in realtà, almeno in termini percentuali), oppure trovare nuove entrate di pari importo (neanche questo sarebbe impossibile, basti pensare ad una nazionalizzazione dell’industria energetica o una riappropriazione al pubblico dell’emissione di moneta, che da sola incide per circa 3 miliardi l’anno sulla sola Sicilia, oggi affidata al settore bancario privato). Comunque sembra a prima vista che saremmo “in rosso”.

Ma non appena il dato viene letto più da vicino cominciano a saltare fuori tante sorprese.

Infatti il suddetto dato è gonfiato intanto, in entrata e in uscita, dal comparto “para-fiscale” delle entrate e delle uscite previdenziali. Le entrate previdenziali sono pari a circa 11 miliardi, le uscite previdenziali (pensioni e simili) sono pari a circa 21 miliardi.

Il conto di cui sopra, depurato delle partite previdenziali, è pari a 34 miliardi di entrate e a 34 miliardi di uscite. Siamo già in pareggio, e al primo giro di boa.

Vogliamo parlare delle partite previdenziali? Ebbene sì, sono quasi tutte erogate dall’Inps, Istituto nazionale, poi ci sono alcuni altri istituti e poi ci sono anche le pensioni erogate dalla Regione ai propri ex dipendenti e poco altro.

La Regione non ha gestito bene il proprio monte-pensioni. Il Presidente Piersanti Mattarella, dopo tanti sacrifici fatti con i contributi dei dipendenti regionali negli anni precedenti, lo aggredì per fare cassa. Tanto a quei tempi i soldi c’erano.

Il Presidente Raffaele Lombardo lo ha ricostituito, ma ci vorranno decenni prima che funzioni di nuovo. La Regione ha chiesto di recente all’Inps di farsi carico dei regionali in pensione. La risposta, CORRETTA, è stata che l’Inps avrebbe sì potuto provvedere, ma voleva dalla Regione il montante contributivo nel frattempo maturato, cioè alcuni miliardi, che, con un’operazione finanziaria straordinaria, la Regione avrebbe dovuto consegnare all’Inps per “disfarsi” dei propri pensionati. Siccome in cassa non c’è un quattrino, non se n’è fatto nulla.

Perché racconto questa storiella (poco) edificante? Perché la morale è che i debiti previdenziali SONO DELL’ENTE CHE SI E’ PRESO I CONTRIBUTI! In questo caso della Regione, ma – per tutti gli altri – i debiti, giuridicamente, sono dell’Inps, solo dell’Inps, non certo della Sicilia.

L’Inps si è preso, a suo tempo, i contributi, l’Inps li ha investiti in un patrimonio immobiliare e mobiliare che resta di sua proprietà, all’Inps, e solo all’Inps spettano dunque le uscite previdenziali, a meno che non trasferisca alla Regione un montante contributivo di svariate centinaia di miliardi. Non c’entra nulla né l’Autonomia e nemmeno un’eventuale indipendenza. L’Inps, tanto per dirne una, ha continuato a pagare le pensioni (non rivalutate, OK, ma che c’entra?) ai poveri “ascari” di Eritrea ed Etiopia, ben oltre l’indipendenza di quei Paesi e, forse, c’è ancora qualche superstite che la percepisce.

La Sicilia quindi non deve fare alcun conto delle entrate e delle uscite previdenziali. Primo, perché anche attuando lo Statuto integralmente, il comparto parafiscale resterebbe, in assenza di accordi specifici, all’Inps. Secondo, perché, anche se ci creassimo, di sana pianta, un sistema previdenziale tutto nostro, questo dovrà rispondere solo fra molti anni delle pensioni, e quindi per ora, e per lunghissimi anni, saremmo in equilibrio.

Lo squilibrio previdenziale, comune del resto a tutta l’Italia, rileverebbe solo nel caso in cui l’Italia ci desse l’indipendenza e, cialtronescamente, ripudiasse l’erogazione di tutte le pensioni dei siciliani, compresi i molti che per molti anni hanno versato al Nord i contributi e si sono ritirati a vivere al paesello d’origine solo nella vecchiaia. In quel caso, per ora puramente di scuola, la Sicilia avrebbe comunque molti metodi, con una piena sovranità, di recuperare questo deficit. In questo caso mette conto dire che il conto previdenziale non c’entra assolutamente niente ed inquina semplicemente i dati fiscali.

Ma entrando anche più attentamente nel dato fiscale, si trovano altre sorprese.

Torniamo intanto ai 34 miliardi d’entrata. Guardando con attenzione la nota metodologica si osserva che questa cifra è stata determinata tenendo conto il più possibile del luogo in cui si forma il presupposto d’imposta e non del luogo in cui si trova il contribuente o in cui si trova l’ufficio finanziario che percepisce l’entrata. Principio giustissimo, naturalmente. Per alcune entrate, come per l’Iva questo criterio si è potuto applicare in modo abbastanza facile, a partire dalle statistiche di contabilità nazionale date dai consumi.

Per l’Ires, invece, e sarebbe questa l’eterna questione dell’art. 37, gli estensori del calcolo ammettono che non si dispone di un buon criterio di regionalizzazione delle entrate. Come ho più volte sostenuto, soltanto l’imposizione di una contabilità separata e di specifiche e concordate convenzioni contabili potrebbe separare ciò che per natura è congiunto come la produzione del reddito d’impresa. Le stime sull’art. 37, quindi, continuano a mancare. Mi riservo di tornare su questo punto.

Sono praticamente certo che si tratta di una somma che si computa in unità di miliardi di euro. Rilevo qui il problema solo per dire che i “famosi” 34 miliardi di entrata sono un’approssimazione per difetto del dato vero di gettito tributario. Con un’Agenzia delle entrate nostra e con una contabilità separata per le imprese che operano in Sicilia, il dato potrebbe diventare 36, 38, 39, non sappiamo esattamente. Comunque, diamo per buono quello che ci “vendono” i Conti Pubblici Territoriali e partiamo da quello.

Secondo questo dato, le Amministrazioni centrali introiterebbero circa 10 miliardi l’anno di imposte dirette e circa 12 miliardi e 700 milioni di imposte indirette, di cui 7,7 sarebbe soltanto l’Iva.

Ora, sappiamo bene che le altre imposte indirette sono trattenute quasi tutte dallo Stato (le famose accise, sui cui criteri di regionalizzazione abbiamo qualche dubbio). Comunque, anche togliendole (ma, se fossimo uno Stato a sé, sarebbero nostre anche quelle), Statuto alla mano, anzi decreti attuativi alla mano, ai sensi del primo comma dell’art. 36, per come è stato attuato sinora, dovremmo avere un gettito per la Regione di 17,7 miliardi l’anno, il famoso 100 % delle imposte che i giornali e le Tv nazionali sventolano ogni giorno come lo scandalo del secolo.

I tributi devoluti a Regione ed Enti locali (compresi in questa dizione persino le Università), ammontano a 7 miliardi, di cui poco più di 200.000 euro agli enti locali (cioè niente!). Erano circa 8 fino al 2012, ma da allora sono entrati in gioco i famigerati “accantonamenti” all’Erario, per circa un miliardo l’anno.

17,7 – 7 = 10,7 miliardi. A tanto ammonta il gettito illegittimamente trattenuto dallo Stato ogni anno. Almeno solo per questa voce.

Ma le sorprese continuano. E non solo dal lato dell’entrata, ma anche della spesa.

(Fine prima puntata/ segue)

Miracolo! Al Tg2 le risorse ‘scippate’ alla Sicilia
L’Italia mantiene la Sicilia o è il contrario? Parte seconda
Pio La Torre: “Contro l’Autonomia il capitalismo monopolistico”

Nota a margine

Solo un appunto alla prima puntata di questa bellissima inchiesta del professore Massimo Costa. Riguarda il Fondo pensioni della Regione che, ai tempi di Piersanti Mattarella, venne, di fatto, abolito, trasferendo sul Bilancio regionale il pagamento dei pensionati. A nostro modesto avviso, non fu una scelta per fare ‘cassa’, anche perché – come dice lo stesso professore Costa – allora i soldi, alla Regione, non mancavano.

Intanto fu una decisione ‘politica’, adottata dalla maggioranza politica di quegli anni. Della quale Mattarella faceva parte. Ma allora c’era la ‘politica’ e le decisioni ‘politiche’ li adottava la politica e non il presidente della Regione. In secondo luogo, va detto che, allora, i dipendenti della Regione non superavano le 2 mila unità. E nessuno immaginava che sarebbero diventati 20 mila con circa 15 mila pensionati!

In quegli anni si sussurrava che questa manovra sul Fondo pensioni sarebbe servita a pagare ai dipendenti pensioni più alte degli ultimi stipendi con i fondi del Bilancio: ma erano solo voci…
g.a.

 


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