L’incendio che la scorsa estate fece paura a Messina Rogo partito per distruggere sfalci, arrestato 70enne

L’incendio devastante che l’estate scorso ha tenuto Messina col fiato sospeso per due giorni sarebbe stato appiccato da un pensionato 70enne. L.C., che voleva disfarsi degli sfalci prodotti dai lavori di scerbatura all’interno della sua proprietà. È quanto hanno accertato i carabinieri del comando provinciale, al culmine di approfondite analisi: fatte di verifiche catastali, visione di immagini satellitari e di quelle delle telecamere di videosorveglianza, studio di tabulati telefonici. Tra il 9 e l’11 luglio del 2017 furono impegnati carabinieri, polizia, forestale, protezione civile e vigili del fuoco con l’ausilio dei canadair per spegnere le fiamme che, in totale, devastarono 550 ettari di territorio collinare, costringendo all’evacuazione decine di persone, tra cui il personale e gli animali del dipartimento veterinario del polo universitario dell’Annunziata. I periti della Procura hanno quantificato danni per tre milioni di euro. Il 70enne è stato posto agli arresti domiciliari e deve rispondere dei reati di incendio boschivo doloso aggravato e, per la prima volta in Sicilia, di disastro ambientale aggravato.

Il provvedimento restrittivo scaturisce dalla complessa attività di indagine, chiamata Efesto, condotta dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina. Il rogo del 9 luglio, reso indomabile dal forte vento e dalle alte temperature estive che hanno consentito la rapidissima propagazione delle fiamme, si è esteso a dismisura fino a raggiungere le zone di Portella Castanea, Monte Ciccia ed a lambire le abitazioni sul versante dell’Annunziata ed il plesso universitario Papardo. Il forte vento, l’orografia del terreno e gli elettrodotti di alta tensione che attraversano l’area hanno, però, impedito di contrastare efficacemente le fiamme che si sono, così, diramate su due fronti: uno nel costone di Monte Ciccia e l’altro nella zona di Portella Castanea. L’incendio ha provocato danni di diversa intensità tenuto conto dell’orografia del terreno: a fronte di aree interessate dalle fiamme in modo quasi omogeneo, ve ne erano altre meno compromesse. Questo insieme di circostanze ha provocato, già dopo pochi mesi dall’incendio, un cambiamento nella successione, nella struttura e nella composizione della nuova vegetazione, oltre che un’alterazione della struttura della superficie del terreno dalla quale è scaturita una diminuzione della capacità di trattenimento dell’acqua piovana con i rischi facilmente immaginabili per la popolazione.

Le indagini si sono avvalse dell’escussione degli abitanti della zona, dell’esame delle immagini di alcune telecamere di video sorveglianza, oltre che di  ripetuti sopralluoghi sul posto. Accertata la natura dolosa dell’incendio, con l’ausilio del personale del Corpo forestale Regionale, è stato individuato il punto d’innesco delle fiamme nella zona a monte del torrente San Michele, in località Pisciotto, su un cespuglio di rovi accanto alle pompe di sollevamento dell’acqua del Comune di Messina. Lo studio preliminare del percorso delle fiamme – confortato dalle risultanze delle sommarie informazioni, della disamina dei dati catastali e dalle immagini satellitari – hanno permesso di comprendere che l’incendio aveva avuto origine all’interno di una proprietà privata ben individuata. L’attenzione investigativa si è quindi concentrata sul proprietario della proprietà che è stato sottoposto a intercettazioni.

Si è così ricostruito che l’uomo, il giorno precedente l’incendio, aveva effettuato dei lavori di scerbatura su alcuni roveti che infestavano i confini di un fondo di sua proprietà e che intorno alle 9.30 del 9 luglio aveva deciso di disfarsi del prodotto di risulta, appiccando il fuoco. A causa delle condizioni meteorologiche le fiamme sono sfuggite al suo controllo tanto che il 70enne, spaventato, ha accettato il rischio che l’incendio degenerasse allontanandosi dal terreno senza richiedere l’intervento dei soccorsi.

«È stato possibile accertare, quindi – sottolineano gli investigatori – che l’indagato ha appiccato il fuoco alle sterpaglie del proprio fondo in circostanze di tempo, di luogo e di territorio tali da consentire agevolmente una previsione sulle conseguenze nefaste che sarebbero derivate, il che qualifica l’elemento psicologico sotto il profilo del dolo eventuale essendo pienamente consapevole del rischio, accettandone la conseguenza che dalla sua azione sarebbe derivata ovvero l’elevatissimo rischio di diffusione delle fiamme. L’avere, peraltro, ritardato la richiesta dei soccorsi, rientrando a casa senza richiederne l’intervento, ha poi consentito l’aggravarsi delle conseguenze dell’azione posta in essere».


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