L’importante è possedere il know how

Vincenzo Perciavalle, docente di Fisiologia presso la facoltà di Medicina e Chirurgia, è stato richiamato dal rettore Recca al comando del Centro Orientamento e Formazione. Ha parlato della necessità di creare una vera e propria sinergia tra i comuni, la provincia, gli ex provveditorati, le scuole e l’università nel guidare lo studente nella scelta del proprio futuro, per ridurre al minimo l’errore. In fondo, oggi non vi è più quella forma di snobbismo nei confronti dei non-laureati e diciamocelo chiaramente: «la laurea ha valore solo se associata a dei contenuti».

 

Può spiegare ai nostri lettori che cos’è il C.O.F., quando è nato e di che cosa si occupa?

Stiamo parlando di oltre dieci anni fa, quando l’Università di Catania per prima si è posta il problema, sotto l’allora rettore Rizzarelli, di creare nell’Ateneo una struttura che si dedicasse permanentemente da un lato ad orientare sia i giovani che devono entrare nell’università sia quelli che stanno per finire e che vogliono orientarsi nel mondo del lavoro; dall’altro lato, nell’ambito di queste attività, garantire ed attivare delle forme di attività didattiche particolari, che non sono istituzionali: dai master ai corsi di perfezionamento che allora non esistevano, per migliorare la preparazione di questi giovani e renderli ancora più idonei all’inserimento nel mondo del lavoro. Quindi i termini ‘orientamento’ e ‘formazione’ derivano da queste due necessità: orientare, anche integrando la preparazione accademica ufficiale con tutta una serie di iniziative molto più flessibili, che permettano una maggiore adattabilità al mercato del lavoro da parte del giovane. Io sono stato chiamato dal professore Rizzarelli ad inventare quello che oggi è il C.O.F. nel 1996 e l’ho diretto fino al 2001. Con l’elezione del professore Recca mi è stato chiesto di rimettermi in sella e di ricominciare ad occuparmi di questo tipo di azione.

 

Ci può fare un bilancio, da Delegato, dei primi 100 giorni del nuovo Rettorato?

Ci sono due aspetti che ho trovato. In questi anni sono state molto potenziate le attività di formazione (master per intenderci), penalizzando però – questa è una mia opinione – le attività di orientamento. La differenza tra formazione ed orientamento è importante perché per orientamento si intende un servizio di “counselling”, sia orientativo sia psicologico; questo soprattutto per gli studenti che si sono iscritti ad un corso, si sono resi conto di avere sbagliato e cominciano ad entrare in crisi. Questi  rappresentano quella grossa fetta che poi abbandona: un grosso costo per le famiglie e anche un costo psicologico per loro stessi. Dall’altro lato vi è la formazione, ma ne escono 20–30 persone; e noi siamo un’università di 60.000 studenti, per cui non si può trascurare un tipo di azione dedicata a tutti di avere informazioni: uffici stage, la possibilità di fare tirocini nelle fasi finali del corso. Sto cercando, quindi, di fare ripartire le attività che interessano tutti senza penalizzare quelle più di nicchia, quelle più strettamente formative. Questo è un po’ quello che io ha rilevato nei primi 100 giorni. Le faccio un esempio banale: sto cercando – e in questi giorni è uscito il bando – di acquisire una frequenza radio per mettere su etere la prima radio dell’Università di Catania. Noi abbiamo delle iniziative su internet, Radio Zammù è la più conosciuta ma l’abbiamo fatto in passato come C.O.F. Stiamo cercando di utilizzare uno strumento molto diffuso tra i giovani per promuovere da un lato, ovviamente, le iniziative del nostro Ateneo rivolte ai giovani, e dall’altro lato vogliamo far aggregare i giovani all’Ateneo e non fare una cosa pallosa che porti i ragazzi a cambiare frequenza perché non è invitante. L’intento è quello di cercare di far crescere l’interesse per determinate cose, diffondere informazioni e partecipazione.

Parlando del bando, come si può inserire una radio studentesca già esistente, come ad esempio Radio Zammù, che trasmette via web?
In parallelo. Rimane sul web e quindi continuerà ad avere un target di nicchia (appunto perché questa è la situazione della radio sul web). Nel momento in cui io ho una frequenza radio, significa che qualunque ragazzo mentre guida la macchina e sente la radio e gli compare sul display ‘Radio Zammù’, la radio dell’università, si incuriosisce. Magari è uno studente appena iscritto, un ragazzo che ha già finito il suo percorso, oppure un giovane che non sa ancora di che morte morire – molti si iscrivono perché non c’è niente di meglio da fare. Svolgere un’azione per fare uscire questa realtà dal target di nicchia.

 

Si parla sempre più spesso dei tagli finanziari alle università. L’Ateneo di Catania come vive questa situazione?

Noi come università siamo tra le dieci università con il maggior numero di studenti, i cosiddetti “mega-atenei”. Siamo la più grossa azienda del territorio. Come qualità, non dobbiamo dimenticare che il nostro Ateneo è uno dei più antichi in Italia. Questo da anche una dimensione di prospettiva, qui c’è una storia universitaria soprattutto in certi settori: lettere, medicina, giurisprudenza, che vanno avanti ininterrottamente da sei secoli. Ci sono facoltà più nuove, nate recentemente. Ci sono anche corsi che per la conformazione del territorio devono esserci nel nostro Ateneo: penso alla Vulcanologia. Nella media nazionale noi rappresentiamo un’università con uno standard medio–alto nella gran parte delle discipline, dove fondamentalmente gli unici aspetti negativi sono legati ai fondi che il Ministero eroga. Noi siamo un’università statale e quindi gli unici modi per ‘fare cassa’ sono farseli dare o dal Ministero o dagli studenti. Siccome noi abbiamo scelto di applicare la politica di non tassare troppo gli studenti, perché viviamo in questa realtà economica, è chiaro che ne soffriamo: un laboratorio linguistico, ad esempio, per un ragazzo costa. Siamo ai limiti della sopravvivenza; ed essendo un’università statale, se non si è più in grado di svolgere la propria attività, viene meno quello che è uno dei cardini di una società come la nostra: il diritto allo studio. Questo significa, fondamentalmente, due cose: ognuno, indipendentemente dalla sua situazione economica, ha il diritto di studiare e dall’altra parte noi non dobbiamo dargli un pezzo di carta, gli dobbiamo dare una laurea che abbia dei contenuti, dove noi siamo in grado di garantirlo. Noi dobbiamo sforzarci di dare allo studente una laurea spendibile nel mercato del lavoro sempre più competitivo, dare conoscenze, garantire il vero “know how”. Quello che sto cercando di fare io, con il C.O.F., cerco di farlo senza chiedere soldi all’Ateneo, proprio perché non voglio togliere le risorse alle attività istituzionali (la didattica e la ricerca), creando una serie di azioni che mi permettano di garantire questo tipo di attività. Ed è complesso.

 

Progetti futuri del C.O.F.?

Noi abbiamo delle situazioni da dover attenzionare: far capire alle amministrazioni pubbliche, comuni e provincia in particolare, che le attività che noi facciamo di orientamento sono attività che anche loro devono fare per motivi istituzionali. Le scelte dei percorsi di studio non devono essere fatte dalle università, la quale interviene prima che lo studente si iscriva all’università. Dovrebbero cominciare alla scuola media, quando il ragazzo comincia a guardarsi attorno. Lo sforzo sarà quello di creare una rete tra scuole, ex provveditorati, comuni e provincia per snellire questo tipo di azione, in maniera tale che non si arrivi all’età di 18 anni per dire al ragazzo “ora ti spiego come funziona l’università”. Molti professori al liceo insegnano da vent’anni, l’università l’hanno frequentata negli anni ’70/’80 e non è questa università, di oggi, con il 3+2. E’ completamente diversa. Se loro dovessero fare affidamento sulle proprie esperienze personali per consigliare i ragazzi, “semu pessi”, perché non hanno idea di com’è cambiata l’università. Si deve creare une sinergia soprattutto tra gli enti pubblici per avere un unico obiettivo finale: ridurre l’errore e quindi aumentare le probabilità che i nostri giovani trovino una collocazione nel mondo del lavoro.
La laurea non è necessaria. Oggi non c’è più lo snobbismo di una volta nei confronti dei non–laureati. La laurea ha valore solo se associata a dei contenuti. Anche questo significa aiutare.


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