Il 47enne Angelo Tardino è arrivato in contrada Safarello con tre pistole. Una l'ha usata per uccidere il fratello e la cognata, una per ammazzare i nipotini e la terza per togliersi la vita mentre era al telefono con i carabinieri che provavano a convincerlo a costituirsi
Licata, la famiglia sterminata per la gestione dell’eredità La chiamata: «Ho risolto la situazione, ho fatto fuori tutti»
«Ho risolto la situazione, ho fatto fuori tutti». Sarebbero state queste le parole pronunciate durante una telefonata fatta alla moglie dal 47enne Angelo Tardino che questa mattina ha sterminato l’intera famiglia del fratello Diego, prima di togliersi la vita. A lui e alla moglie Alessandra Ballacchino ha sparato utilizzando un revolver, poi con un’altra arma ha ucciso i suoi due nipoti Alessia di 11 anni e Vincenzo di 15 anni che è stato trovato sotto il letto nascosto con una coperta. Per gli investigatori, questo è il segno che il 47enne sarebbe andato a cercare anche loro per ucciderli. Una tragedia familiare che si è consumata stamattina in contrada Safarello, in via Riesi, in una zona di campagna alla periferia nord della città di Licata nell’Agrigentino.
Lì i due fratelli gestivano i terreni ereditati dal padre, numerosi appezzamenti con centinaia di ettari con coltivazioni a serra, principalmente carciofi, pomodori e zucchine. Proprio la gestione e la spartizione di questi terreni e del pozzo di irrigazione sarebbe stata al centro dei dissidi che da tempo andavano avanti, come hanno raccontato alcuni abitanti della zona. Sono stati gli stessi vicini di casa a raccontare agli inquirenti di essere stati svegliati intorno alle 7.30 dalle urla che avrebbero continuato a sentire per diversi minuti prima degli spari che nessuno di loro è riuscito a quantificare con precisione. Delle cinque pistole e del fucile regolarmente detenuti, Tardino – che aveva anche il porto d’armi – questa mattina ne ha portate con sé tre. E le ha utilizzare tutte. L’ultima per togliersi la vita in via Mauro De Mauro, nel centro della cittadina. Lì il 47enne si è sparato due colpi di pistola mentre era al telefono con i carabinieri che stavano cercando di convincerlo a costituirsi.
A condurre le indagini sulla strage sono i carabinieri di Licata coordinati dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio e dalla pm Paola Vetro. I militari hanno già sentito in caserma il padre dei due fratelli e anche il genitore della donna per provare a ricostruire il movente di quanto accaduto che, come già emerso, sarebbe legato a vecchie lite per questioni di eredità familiari. «Si presume si sia trattato principalmente di liti che i due fratelli avevano per la gestione dell’eredità lasciata dal padre – ha dichiarato il comandante dei carabinieri di Agrigento Vittorio Stingo – per delle serre e delle coltivazioni, per l’acqua da utilizzare e per la quantità che occorreva per annaffiare il tutto. Testimoni hanno confermato che le liti andavano avanti da diversi mesi». Domani sui quattro corpi verrà effettuata l’autopsia, poi le salme verranno riconsegnate ai familiari per i funerali. L’amministrazione comunale di Licata ha già annunciato che per quel giorno verrà proclamato il lutto cittadino.
«La tragedia di Licata è l’ennesima sconfitta della nostra cultura sempre più disorientata e sempre meno capace di gestire le emozioni e le tensioni che turbano l’esistenza personale e interpersonale», ha detto l’arcivescovo di Agrigento monsignor Alessandro Damiano. Una vicenda che ha scosso l’intera cittadina e che «esige una inderogabile presa di coscienza individuale e comunitaria sul valore della persona umana, soprattutto se innocente e indifesa, e sull’importanza della cura delle relazioni, al di là di ogni ferita e di ogni offesa – ha aggiunto l’arcivescovo – Chiama in causa tutti noi, nella responsabilità condivisa in merito alla promozione della cultura della vita e alla testimonianza del vangelo dell’amore e del perdono».