Lettera aperta

Non avevo chiesto di essere nominato prorettore e non ho chiesto ora di essere sostituito. Questa scelta, che appartiene per intero alla responsabilità del prof. Recca, assume d’altra parte un senso che va oltre la mia persona. Riguarda infatti quanti aderirono al patto politico e programmatico a suo tempo sottoscritto. E riguarda altresì l’Ateneo nel suo complesso per evidenti ragioni istituzionali.

L’accordo non era fondato su “scambi” o interessi particolaristici, bensì sul tentativo di rilanciare l’Ateneo in conformità a contenuti programmatici che mantengono tutta la loro validità. Di questi impegni, alcuni sono stati realizzati, altri si trovano in via di realizzazione o di programmazione ed altri ancora, di non secondaria importanza, sono rimasti lettera morta. Ma di tutto ciò in altra sede. Mi limito ad osservare che nell’ultimo anno e mezzo sono stati compiuti alcuni innegabili passi in avanti nella scelta di parametri equi e condivisi per la gestione delle risorse, nell’avvio della riflessione sull’offerta didattica, nel processo di stabilizzazione del personale precario, nelle relazioni sindacali, nelle politiche d’internazionalizzazione dell’Ateneo, nell’impulso alle attività culturali rivolte agli studenti e alla città. Rivendico il contributo operoso, mio personale e di altri colleghi che hanno generosamente lavorato nella “squadra di governo”, alla realizzazione di buona parte delle iniziative che hanno impresso a questa prima fase della gestione Recca un segno di mutamento.

Ma allora, che cosa è successo?

Nel suo comunicato sulla nomina del nuovo prorettore, Recca fa riferimento a una “riorganizzazione del gruppo di coordinamento dell’Ateneo” dopo elezioni che avrebbero segnato una conferma del consenso di cui gode l’Amministrazione. Ma, se è così, come mai si cambia? Di solito, suol dirsi, “squadra che vince non si cambia”. La questione è un’altra, allora.

Data la natura dell’elezione di Recca, ho sempre interpretato la mia delega prorettorale come strumento per conferire, nella piena fiducia reciproca e nel pieno rispetto, mai venuto meno, del ruolo del Rettore, operatività e concretezza ad una “collaborazione di governo”. Ma non si è quasi mai avuto modo di verificare collegialmente e serenamente lo stato di attuazione del progetto elaborato. La puntuale rappresentazione di punti di vista diversi, evidentemente, non rientra in una concezione personalistica, disinvolta ed estemporanea delle relazioni istituzionali. La scelta di sostituire il prorettore – dovuta a calcoli, si presume, elettoralistici – rientra pienamente in questo stile di governo. Anzi è il momento finale di un percorso teso a evitare quel confronto dialettico che è naturale in ogni collaborazione fondata su accordi programmatici. Se il prorettore dev’essere uno yes-man, Recca si è accorto un po’ tardi che io non lo sono.

Quello del rinnovamento dell’Ateneo è un problema di governo (individuare le soluzioni giuste) e di governance (avere il consenso). La strada scelta da Recca rischia di riproporre il modello di un’amministrazione sprovvista di una visione d’insieme dei problemi dell’Ateneo, o che comunque è pronta a sacrificarla in nome di un consenso ottenuto mediante la sommatoria di interessi particolari. Si tratta di un metodo che non mi attira: da qui la mia decisione di non accettare la proposta di mantenere le deleghe per le relazioni sindacali e per l’internazionalizzazione. Nel continuare a far riferimento ai contenuti del programma del settembre 2006 e nell’auspicare che possa manifestarsi un mutamento in positivo del governo dell’Ateneo, continuerò a dare il mio contributo in piena autonomia di giudizio e di azione.

[Foto di apertura: Il rettore Antonino Recca e l’ex-prorettore Antonio Pioletti al tempo della loro convergenza programmatica, settembre 2006]

 


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