Si parla di nuova politica alle ex fabbriche Sandron. Le parole d'ordine sono «salto in avanti» e «coraggio», nonostante il tentativo del presidente della Regione di rimettere in riga il governo: «Basta coi ragionieri», dice. Ma trova spazio pure la polemica per l'ingresso di alcuni esponenti di Articolo 4 nel Pd
Leopolda sicula, la riscossa dei renziani a Palermo Crocetta: «Non metterò su una macelleria sociale»
La Leopolda siciliana è cominciata stamattina, alle ex fabbriche Sandron di Palermo. Si chiama Sicilia 2.0 e il padrone di casa è Davide Faraone, renziano della prima ora, oggi sottosegretario all’Istruzione. Il format non cambia, cambiano i protagonisti: presenti in sala e sul palco i principali animatori degli organi di governo siciliani, esponenti di spicco del Pd isolano e non, iscritti, amministratori comunali e semplici cittadini. In prima fila e sul palco si sono alternati vecchi e nuovi volti del panorama politico: da Rosario Crocetta a Beppe Lumia, da Cleo Li Calzi a Maria Rita Sgarlata, da Salvatore Cardinale alla new entry Edi Tamajo, da Gea Schirò a Gigi Bobba e ancora imprenditori come il presidente del Palermo Maurizio Zamparini, medici e dirigenti.
Il messaggio è chiaro e lo esplicita per primo il sottosegretario Faraone che, in mattinata, ha introdotto gli interventi alternando parole e video, musica e immagini tratte da film famosi: «È arrivato il momento di consentire alla Sicilia di fare un salto in avanti. Per troppo tempo siamo rimasti indietro. Basta con gli sprechi e i privilegi. Basta con una politica che dorme e che non è al passo con i tempi e al fianco dei suoi cittadini. È necessario guardare le cose da un punto di vista differente». Un invito esplicito che viene ripreso anche nel finale, quando il sottosegretario alla presidenza del consiglio Graziano Delrio è chiamato a chiudere gli interventi della mattina: «Bisogna avere coraggio. Il governo Renzi dopo anni di immobilismo sta facendo delle cose, cose concrete. Non è più possibile limitarsi alla critica per ogni azione di governo. Adesso è il momento di fare. Di chiedere fiducia ai cittadini, dimostrare coraggio e cercare di non tradire quella fiducia che ci viene concessa».
Apertura e chiusura di una mattinata intensa, e nel mezzo cosa è successo? Il braccio di ferro politico fra Roma e palazzo d’Orleans, anche se mitigato nei contenuti, è emerso fra le righe dell’intervento di Rosario Crocetta, che non si è fatto bastare i cinque minuti a sua disposizione e ha tirato la volata nel tentativo di mettere in riga un governo lontano che, citando Pasolini, «cerca di vincere in un campo che non è il suo. Sono stanco di questa visione da ragionieri che pensano solo a far quadrare i conti – attacca Crocetta – Io saprei benissimo come far rientrare le spese, basterebbe metter su una bella macelleria sociale: licenziare dipendenti pubblici, forestali e formatori. Ma non vi stupite poi se lasciamo macerie. Il centrosinistra non vinceva in Sicilia dal 1946, questo risultato va mantenuto. È necessario pensare ai sogni, allo sviluppo. Tagliare in maniera sconsiderata non ci farà vincere le elezioni e men che meno salverà la Sicilia dallo sfacelo». Messaggio mandato forte e chiaro a chi viene a Palermo per dialogare sul futuro dell’Isola. «Ieri un importante esponente del governo nazionale si è presentato in presidenza senza neanche avvisare, sono contento – dice presidente con un sorriso a mezza bocca – Non vedo nemici davanti a me, semplicemente chiedo che si comprenda il lavoro che stiamo cercando di fare».
Essere di sinistra o non esserlo, questa è la domanda che spesso l’opinione pubblica si è fatta di fronte al renzismo. Un’ottica che Faraone e Delrio chiedono di abbandonare: lasciarsi alle spalle i feticci e le posizioni inflessibili dei sindacati. Questo il messaggio trasversale, questi i totem a cui si chiede di rinunciare apertamente. Crocetta che rivendica l’appartenenza a un centro sinistra che si rifiuta di tagliare indistintamente, Davide Faraone che, nonostante provenga da quella tradizione, chiede ai sindacati di non aggrapparsi a ricatti come l’articolo 18: tutto questo poco prima di un lungo momento dedicato a Pio La Torre, con tanto di standing ovation.
Su una cosa però sia Crocetta che Davide Faraone sono in piena sintonia: le critiche che gli muovono i dissidenti del Pd, quei cinquecento civatiani che in questi ultimi giorni hanno abbandonato il Partito democratico per allearsi con Sel a causa di, a loro avviso, impresentabili frequentazioni. Il riferimento, ovviamente, è all’ingresso nel partito di alcuni esponenti di Articolo 4, il gruppo fondato e poi abbandonato dall’ex autonomista Lino Leanza. Presidente e sottosegretario rispediscono al mittente le accuse, il primo affermando che non è minimamente interessato alle beghe di partito, il secondo con stizza: «Erasmo Palazzotto? Chi? L’ennesima operazione suicida della vecchia sinistra. Un progetto che riuscirà a conquistarsi cifre da zero virgola. Preferirei che l’opinione pubblica si concentrasse sulle migliaia di persone che sono intervenute stamattina e sulle cose che il governo Renzi sta riuscendo a fare. Chi vuole dare una mano è il benvenuto. Chi non vuole? Peggio per lui».