Legalizzare il fenomeno migratorio distruggendo il racket che lo controlla

LE MIGRAZIONI SONO UN FENOMENO INARRESTABILE. L’UOMO SI E’ SEMPRE SPOSTATO ALLA RICERCA DI UNA VITA MIGLIORE.

di Aldo Penna

Nel Marzo del 1991 sotto la spinta demolitrice dei regimi comunisti una moltitudine di albanesi fuggì dalla grande prigione a cielo aperto dell’Albania di Enver Hoxha e si riversò sulle coste brindisine. Quasi trentamila arrivi in pochi giorni, un esodo biblico. Ma è dalle coste africane marocchine, tunisine e libiche che partono le migrazioni per la libertà. I popoli fuggono dalla guerra e dalla povertà. La seconda è sopportabile, la prima no e infatti la composizione della folla che si imbarca sui trabiccoli del mare cambia come i colori della disperazione nell’Africa infiammata o nel vicino oriente in guerra.

Appena cessano i conflitti si fermano le ondate di migrazione. Dall’Albania candidata a entrare nella UE non arrivano più barconi di disperati. E anche i Tunisini dopo la Primavera araba salgono con meno frequenza su quelle barche.
Le migrazioni sono un fenomeno insuperabile, l’uomo si è sempre spostato alla ricerca di una vita migliore. Quello che è superabile è invece il racket criminale che lo gestisce e i milioni di euro che transitano dalle mani dei migranti a quelle sporche di sangue di organizzatori senza scrupoli.
Nonostante un muro degno della grande muraglia cinese, i messicani continuano a entrare negli Stati Uniti. Nonostante le migliaia di morti e il rischio concreto che sul prossimo zatterone che si rovescerà ci possano essere loro stessi, i migranti si affollano dentro i lager sulle coste africane. Qui consegnano i denari all’organizzazione, ricevono l’indottrinamento sul comportamento da tenere e aspettano la data fissata.

Come avviene per la droga che a dispetto delle tonnellate sequestrate, continua ad arrivare sui mercati dell’occidente, così i migranti sono inarrestabili. Alzate un muro, lo scaleranno o vi passeranno sotto. E anche se il mare è una barriera letale chi ha la certezza di morire in patria affronta volentieri il rischio di morire in mare.

Come il traffico di droga corrompe guardiani e tutori, apre le porte e fa chiudere gli occhi a chi dovrebbe tenerli aperti, così i migranti, veri e propri piccoli eserciti, si addensano sulle coste da punti a tutti noti per prendere il mare. Nessuno li ferma prima che arrivino in acque internazionali e a migliaia continuano a morire.

Solo se la tragedia è fuori consuetudine suscita rabbia e indignazione. I trecentocinquanta morti di Lampedusa hanno acceso i fari europei sulla vicenda, i 50 morti nel mare di Trapani dieci giorni dopo sono divenuti statistica per la cronaca.

E come l’unica via per fermare il traffico di droga che arricchisce le organizzazioni criminali è la legalizzazione, anche per i migranti occorre una nuova visione europea che legalizzi il processo migratorio sottraendolo ai negrieri del nuovo millennio.


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