Le amicizie dell’imprenditore vicino ai Santapaola Pentito: «Quando ero latitante mi pagava le cene»

Le indagini della Dda – alla base del sequestro di ieri dei beni riconducibili all’imprenditore Concetto Bucceri – sono servite a ricostruire gli organigrammi mafiosi nella zona tirrenica della provincia di Messina. Gli inquirenti hanno evidenziato l’esistenza di «cellule criminali autonome rispetto al gruppo dei barcellonesi che, operando in contesti territoriali assolutamente differenti, con quello si rapportavano». E Bucceri per i magistrati sarebbe stato proprio una di queste cellule. 

L’imprenditore di Letojanni è considerato l’anello di collegamento tra Cosa nostra catanese e la famiglia mafiosa barcellonese. Come si legge nel provvedimento di confisca, Bucceri sarebbe «organicamente inserito nella cosca mafiosa di Picanello facente capo alla famiglia catanese dei Santapaola» e al contempo «concorreva nel sodalizio mafioso dei barcellonesi operante sul versante tirrenico della provincia di Messina». A riguardo, vengono definite di «eccezionale rilievo probatorio» le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, leader dei Mazzarroti, frangia mafiosa operante nei territori di Mazara Sant’Andrea, Novara di Sicilia, Furnari, Tripi e zone limitrofe. Secondo la Dda, lo spessore criminale di Bucceri emerge dal numero di precedenti penali. Alcuni dei quali anche relativi a condanne per reati di associazione mafiosa e di estorsione aggravata.

Bisognano racconta ai magistrati di «numerosissimi rapporti intrattenuti per quasi un ventennio con il Bucceri, che si relazionava infatti stabilmente con i barcellonesi, fornendo agli stessi addirittura assistenza logistica specie nei periodi di latitanza». Grazie all’imprenditore, il collaboratore racconta di essere riuscito «a entrare in contatto con altri esponenti della criminalità organizzata dell’hinterland catanese». Di particolare rilievo risultata la conoscenza di Paolo Brunetto, soggetto di elevata caratura criminale esponente rappresentante dell’omonimo clan. «Bucceri mi presentò Paolo Brunetto (…) capo dell’omonimo gruppo operante a Fiumefreddo – dichiara Bisognano ai magistrati -. Ricordo che mi condusse personalmente a casa di Brunetto che in quel periodo era sottoposto sorveglianza speciale e ristretto ai domiciliari». L’ex leader dei Mazzarroti ribadisce ai magistrati gli ambiti di competenza: «Ciascuno era esponente della rispettiva famiglia di appartenenza – sottolinea -. Bucceri esponente del clan Picanello-Santapaola, Brunetto del clan di Fiumefreddo. Ognuno aveva la sua autonomia, anche se ritengo che in quella zona avesse maggiore autorità il Brunetto».

La conoscenza tra Bisognano e Bucceri sarebbe stata talmente forte che, quando il collaboratore di giustizia si allontanò da Barcellona perché temeva di essere arrestato, sarebbe stato proprio l’imprenditore a fornirgli appoggio logistico. L’operazione a cui si fa riferimento è quella del 1996 denominata Nebrodi, che portò all’arresto tra gli altri del boss Giuseppe Gullotti, ritenuto mandante dell’omicidio di Beppe Alfano. In quell’occasione, Bisognano avrebbe trovato rifugio in una villetta a Letojanni messa disposizione da Bucceri, che avrebbe pensato anche al vitto. «Non ho mai pagato alcuna cena nel periodo in cui rimasi a Letojanni», confida il collaboratore ai magistrati.

La caratura criminale dell’ex titolare delle imprese Sud Service e Sud Service srl viene infine cristallizzata nella sentenza della Corte di Cassazione del 14 gennaio 2016. A pagina 60 della sentenza si legge: «L’attività svolta dal Bucceri era effettiva espressione della sua appartenenza al clan Santapaola e pertanto la mediazione veniva realizzata da costui essenzialmente in rappresentanza e nell’interesse di tale gruppo mafioso con beneficio indiretto per il gruppo dei barcellonesi». In ultimo Bucceri è stato rinviato a giudizio dalla tribunale di Catania per estorsione aggravata ai danni della ditta Sicilsaldo impegnata nella realizzazione del metanodotto per la tratta San Pietro Clarenza-San Giovanni La Punta. L’impresa sarebbe stata costretta a consegnare a Bucceri somme di denaro ammontanti a circa cinquemila euro.


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