“L’attacco alla Procura di Palermo è sotto gli occhi di tutti”

“Prendiamo atto della sentenza della corte costituzionale sulla distruzione delle intercettazioni che hanno riguardato Mancino e Napolitano. Siamo fieri che quelle conversazioni siano rimaste segrete: non e’ uscita una riga in proposito, ma quello che poi e’ avvenuto in termini di attacchi alla Procura di Palermo e’ sotto gli occhi di tutti”.

Non le manda a dire il Pm Nino Di Matteo, uno dei magistrati in prima linea nelle inchieste sulla trattativa Stato-mafia. Scocca la sua freccia dalla festa di Addio Pizzo, che in questi giorni si sta celebrando al Giardino Inglese del capoluogo siciliano.
“Altre conversazioni dello stesso Capo dello Stato e di quello che lo aveva preceduto, ugualmente irrilevanti dal punto di vista penale, erano invece state da altre Procure trascritte e depositate ed erano state pubblicate dai giornali. In quei casi non e’ stato sollevato alcun conflitto di attribuzioni – osserva Di Matteo – nel nostro caso, invece si”.

Come sappiamo, la Procura di Palermo non è riuscita ad opporsi alla distruzione di quelle telefonate, ma non si arrende. I giudici hanno chiamato sul banco dei testimoni, sempre nell’ambito dell’inchiesta Stato-mafia, molti protagonisti politici degli anni delle stragi. A cominciare dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E ancora: dall’ex ministro Vincenzo Scotti a Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani, Giuliano Amato e Luciano Violante. Nella lista ci sono, infatti, anche Piero Grasso, all’epoca procuratore nazionale antimafia, l’allora pg Vitaliano Esposito, e l’attuale procuratore generale Gianfranco Ciani.

La verità, per Di Matteo è che “per tanti,  i magistrati sono da onorare solo da morti; sono, siamo stanchi dell’ipocrisia di chi, quando erano in vita Falcone e Borsellino, non esitava a definirli ‘giudici politicizzati’, mentre, dopo che sono morti si finge di onorarli e si contrappone la loro condotta ai magistrati vivi per affermare che mai avrebbero agito come loro. Ma e’ un falso storico”.

E di quella ipocrisia ne vederemo tanta tra qualche giorno, quando si commemorerà la strage di Capaci del 23 Maggio del 1992, in cui vennero uccisi il giudice Giovanni Falcone con la moglie e gli uomini della scorta.

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