L’Aquila: paura, speranza e diffidenza

Dall’Abruzzo sgretolato oggi si leva un grido possente che riecheggia quello del terremoto che il 13 gennaio 1915 rase al suolo Avezzano e i paesi limitrofi. Alla luce degli ultimi sviluppi, pare che non s’impari mai dagli errori passati. Infatti i problemi che – legati alla ricostruzione economico-sociale, alla natura edilizia dei piani regolatori e alla speculazione sulle aree edificabili – contrassegnarono il periodo post-terremoto del ’15, tornano ad avere sempre qui in Abruzzo un epicentro di insana corsa all’edificabilità.

Giorno per giorno gli abruzzesi si sentirono, e negli anni continua questa percezione, come presi a braccetto dalla menzogna (nella costruzione di case, di edifici pubblici, chiese…) e dalla paura (per le fantomatiche promesse della ricostruzione). Ad alcune nostre domande un ingegnere civile risponde in sintesi: “E’ molto probabile che mai nessun Governo pretenderà precauzioni tali nella costruzione di un edificio affinché quest’ultimo possa resistere a un terremoto di intensità pari a 6-7 gradi della scala Richter. Perché sarebbe troppo oneroso occuparsi di un caso del genere che avrebbe più probabilità di verificarsi ogni cento-duecento anni circa. Si reputa come soluzione preferibile redigere normative che prevedano lavori di adeguamento da effettuare ogni cinquant’anni”.

Bertolaso, durante un incontro in una scuola di Pizzoli, confida nella parità dei diritti sociali e nella trasparenza delle manovre. “Stiamo lavorando ad un piano di ricostruzione completa e di ristrutturazione pesante. 235mila euro sul conto corrente di ogni capofamiglia che – avendo perso la casa – dopo aver dato la commissione ad un’impresa locale e ottenuto una serie di permessi, potrà ricostruirla”. In molti, però, non credono alla celerità di questi meccanismi: “Questi sono solo discorsi astratti – gli risponde in faccia una signora pizzolese – io ho perso il lavoro, ho due figli che cresco da sola e mi sono dovuta trasferire dai miei genitori. Che farà lo Stato per me? Quanto tempo si dovrà aspettare per avere i permessi necessari per la ricostruzione? E verrà fatta una ricostruzione ineccepibile? Ma i moduli per l’assegnazione delle casette in legno saranno utili e permetteranno il rispetto delle graduatorie? Nel frattempo ci lascerete come ratti dentro container-gabbia?”. E tante altre domande che non lasciano respirare.

Ma se è stato detto che ci sono casette per tutti, infatti Berlusconi ha rifiutato maggiori aiuti dall’Estero, perché ancora non vengono montate quelle che già sono state donate?”, viene sollevato da alcuni. Pare infatti che la Provincia autonoma di Trento abbia pronte da fine aprile trecento casette in legno, già tagliate e solo da montare e da posizionare; “ebbene – dicono alcuni sfollati – non si sa di preciso che fine abbia fatto questa donazione prevista per Paganica”. “E’ chiaro che il problema non riguarda dove mettere le case, ma se la quantità è sufficiente a soddisfare un paese e quale politica ci sta dietro”, afferma un paganichese.

E mentre il Premier italiano tenta, con le sue ennesime manovre, di portare l’attenzione su desideri effimeri come una crociera gratis o soggiorni in villaggi benessere, i ragazzi aquilani rispondono ancora una volta con un sonoro no indignato, perché ciò di cui loro si preoccupano è la sostanza: “i soldi andrebbero spesi per valorizzare il patrimonio de L’Aquila e per avviare la ricostruzione degli edifici senza permettere alcun tipo di dispersione. Non vogliamo più promesse che non vengono rispettate – dichiara Roberta – e basta con le immagini delle macerie”. Perché loro vorrebbero “si raccontasse la vita”. Quella di chi tra gli abitanti si è rimboccato le maniche e di chi sta facendo un ottimo lavoro di volontariato. Resta una convinzione comune, tra i più e i meno giovani, che è quella di non farsi cullare da false illusioni e da facili vittorie.

Stefania Oliveri

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