«L’Anno accademico non deve iniziare»

Duecentocinque ricercatori sui seicentoquarantanove totali dell’Ateneo catanese hanno comunicato la loro indisponibilità a svolgere attività di didattica frontale. Lasciano circa trecentosessantaquattro corsi scoperti, in otto facoltà su dodici. Semplificando: circa il 33% dei ricercatori dell’Università di Catania si sono rifiutati di tenere lezioni, compito che hanno finora svolto, per lo più a titolo gratuito, quando perfino il CUN, lo scorso 15 settembre, ha ribadito con forza che l’insegnamento non è tra i loro compiti, né può esserlo senza alcun tipo di riconoscimento contrattuale.

Con questi numeri, l’avvio dell’Anno Accademico è evidentemente in forse, tanto più che il Coordinamento Unico di studenti, precari, ricercatori e docenti, dopo aver sottoposto all’assemblea d’Ateneo – svoltasi ieri pomeriggio nell’aula magna del Dipartimento di Fisica e Astronomia alla Cittadella Universitaria – un documento in cui si invita il Senato Accademico a prendere atto della situazione e a rinviare l’inizio delle attività didattiche al primo novembre, ne ha ottenuto l’approvazione all’unanimità. L’iniziativa di Catania, segue quella di altri atenei, compreso quello di Bologna, che è stato al centro delle cronache dei giorni scorsi per l’ultimatum (poi rientrato) del Rettore dell’Alma Mater ai ricercatori.

«Andremo avanti finché il Governo non farà un passo indietro», scandisce Marcella Renis, ordinaria di Biochimica e Biologia Molecolare alla facoltà di Farmacia dell’Ateneo catanese, che in apertura dell’incontro aveva manifestato, a nome degli organizzatori, il rammarico per l’assenza del Magnifico Rettore Antonino Recca, che, pur essendo stato invitato, non si è presentato.

Ad essere preso di mira, in questo caso, è il DDL 1905, ovvero «norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento». Il disegno di legge, che sarà discusso alla Camera tra l’11 e il 15 ottobre, «lederà il diritto alla formazione e abbasserà la qualità dell’istruzione, che dev’essere garantita a più livelli», sostiene Renis. All’incontro presente anche Attilio Scuderi, ricercatore della facoltà di Lingue e letterature straniere, il quale ha spiegato ai presenti – l’aula magna era al completo – il contenuto di un rapporto sull’istruzione universitaria redatto dall’Università LUISS nel 2008: «Siamo il paese europeo con la più bassa mobilità professionale: il 55% di noi rimane inchiodato alla sua classe sociale. I nostri dirigenti hanno un altro primato, sono i più anziani: il 63,4% di loro ha superato la soglia dei settant’anni. Parlando di università, poi, il dato si fa ancora più allarmante: si arriva ad avere una cattedra, mediamente, a cinquantasette anni e mezzo, mentre trent’anni fa ci si arrivava vent’anni prima». E, parafrasando il titolo di un celebre libro di Cormac McCarthy, dal quale è stato tratto il film dei fratelli Coen del 2007, «l’Italia è “no country for young men”». Questo non è un paese per giovani. Né vuole esserlo: «Abbiamo il maggior numero di studenti fuori corso, e il minor numero di laureati. E per sistemare questa situazione che abbiamo fatto? Abbiamo messo il numero chiuso ovunque», ha proseguito Scuderi. «Del ddl, inoltre, non ci piace la prospettiva di governance, perché perfino gli ordinari, che si credevano al sicuro, voteranno un Senato Accademico senza valore, poiché le decisioni saranno lasciate  quasi in toto ad un super-rettore e a responsabili esterni all’università e legati al mondo politico».

Nella relazione di presentazione del disegno di legge, testualmente, «si ridefinisce il ruolo del rettore […] in modo tale che possa assumere la piena responsabilità del perseguimento di tutte le finalità istituzionali» e si distinguono in maniera più netta i ruoli del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione. Al Senato spetterebbe «il compito di formulare proposte e pareri in maniera didattica e di ricerca […] e di approvare regolamenti, ad eccezione del regolamento di amministrazione e contabilità». Questi ultimi saranno appannaggio del CdA, assieme alla «programmazione finanziaria e del personale» e  all’«attivazione e soppressione di corsi e sedi».

Anche gli studenti si dicono contrari alla maniera di intendere l’università che si sta delineando. Marco Scalisi, iscritto a Fisica: «Non siamo contenti di un Ateneo che ha un parcheggio, quello di via Santa Sofia che, quand’era utilizzato per i suoi scopi, era gestito male e che adesso, sarà un caso, è deputato allo svolgimento della “fiera dei Morti”. Né vogliamo un Ateneo in cui non funzionano le fotocopiatrici ma si organizza un Gran Ballo».

Altrettanto netto, e ironico, è stato Matteo Iannitti, volto noto del Movimento Studentesco Catanese. Rivolgendosi alla platea, ha sottolineato: «È piacevole vedere qui in mezzo alcuni di quei professori che, due anni fa, agli esordi dell’Onda, ci minacciavano di chiamare la Polizia perché ostacolavamo la didattica. Dico, è piacevole vedere che hanno capito, con due anni di ritardo rispetto a noi, ma hanno capito».

Hanno sottoscritto le istanze dell’assemblea anche i due presidi intervenuti, Guido Li Volsi, della facoltà di Scienze MM. FF. NN., e Nunzio Famoso, della facoltà di Lingue e letterature Straniere. Il primo ha ribadito la sua intenzione di iniziare l’Anno Accademico «insieme ai ricercatori» e ha comunicato che si impegnerà «a presentare in Senato e al Rettore le decisioni del Coordinamento», mentre Famoso ha auspicato «una netta presa di posizione dei presidi», aderendo «personalmente alla mozione, nella ferma convinzione che l’inaugurazione dell’A. A. vada bloccata».

Ma posticipare di un mese l’inizio delle lezioni «significa impegnarsi a pieno titolo affinché i giorni che si guadagnano siano spesi per protestare attivamente, sensibilizzare la gente ed informarla», ha precisato Alessandro Pluchino, ricercatore della facoltà di Scienze MM.FF.NN.

La palla passa, formalmente, al Senato Accademico. Anche se, è risultato chiaro nel corso dell’assemblea, la decisione è già stata presa: senza ricercatori l’Università di Catania non può andare avanti, a prescindere da come si esprimerà il più importante tra gli organi d’Ateneo.

 


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