L’alloro “con lo sconto” fa infuriare gli studenti

Che l’esperienza sia madre di scienza lo sostiene, a ragione, la saggezza popolare. Che questa, da sola, possa servire a chicchessia una bella laurea su un vassoio d’argento non lo ha detto mica nessuno. Eppure sono molti i “furbetti del quartierino” che approfittano, o forse abusano, di una legge dello Stato italiano che intende premiare, ai fini del conseguimento della laurea, l’esperienza lavorativa. Alla faccia però di chi quella laurea se la suda ogni giorno con la schiena piegata su un libro che a volte sembra interminabile.

 

La legge in questione è la N° 159 del 03/11/99, il progetto si chiamava “Laureare l’esperienza”. I più applaudirono con convinzione la trovata dell’allora Ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica Ortensio Zecchino e del Ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer. Per carità, un decreto che, studiato in maniera più diligente e applicato meno alla carlona, sarebbe stato cosa buona e giusta e avrebbe ricevuto l’applauso anche degli studenti a cui, così com’è, non va proprio giù. E sì, perché un conto è laureare l’esperienza, un altro è farsi beffe degli studenti cosiddetti “normali”, quelli che i crediti se li guadagnano sul campo.

 

Il testo della legge dice espressamente che: “Le università possono riconoscere come crediti formativi universitari, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della norma vigente in materia, nonché altre conoscenze e abilità maturate […] I crediti formativi possono essere riconosciuti in base al proprio curriculum vitae ed in particolare risultano fondamentali: l’esperienza professionale, la partecipazione a stage e/o seminari, l’iscrizione ad alcuni ordini professionali, la conoscenza dell’informatica, la conoscenza delle lingue, la partecipazione a corsi di formazione, le attività culturali svolte.

 

In realtà, spiegano gli esperti, l’attività professionale è solo un aspetto marginale rispetto a seminari e corsi interni: “Le attività professionali devono solo essere riconosciute come tirocini, per un massimo di otto o nove crediti – spiega il prof Cozzo, delegato del rettore alla didattica –  Questo è quello che prevede la legge. Ad oggi molti lavoratori sono stati tratti in inganno da propagande mendaci, montate ad arte  dai mass-media. Era prevedibile che alcuni enti privati di preparazione agli esami universitari ci ricamassero su, portando alla ribalta certi slogan che hanno attirato l’attenzione di tutti quei lavoratori che hanno sperato e sperano di potersi laureare con più facilità, rispetto ad un qualunque studente non lavoratore”. Il problema è che nessuno ha pensato di stabilire un tetto massimo di crediti che possano essere gentilmente concessi sulla base di competenze ed esperienze, accertate poi tramite un sempre ricco curriculum vitae. Il risultato è stato che una marea di professionisti si sono fiondati negli atenei italiani, i quali tra l’altro si sono mostrati molto generosi nel concedere questi benedetti crediti, forse anche troppo. Oltre 40 atenei privati e pubblici si sono premurati di stipulare adeguate convenzioni con i vari Ordini Professionali e con le varie aziende, in cambio naturalmente del pagamento della quota di iscrizione. E lì casca l’asino.

 

Infatti più iscrizioni, più soldi, più corsi, più professori per un totale di 5.545 corsi di laurea, 171 mila insegnamenti, oltre 62 mila docenti a contratto, 251 comuni sedi di università o di loro dépendance. E non finisce qui. Più iscrizioni significa anche più finanziamenti. E così tutti felici e contenti, specialmente in tempi di vacche magre per gli atenei.

Senonchè un bel giorno dello scorso anno, dopo una miriade di lamentele provenienti dal mondo accademico e non solo, il Ministro alla pubblica istruzione Fabio Mussi, appartenente al precedente governo Prodi, pensa di ridurre a 60 il limite di crediti cedibili sulla base dell’esperienza. Sempre nel 2007 il Ministro ha anche presentato un esposto alla Procura di Roma per accertare le responsabilità penali di chi insiste nel rilasciare titoli di studio, ormai non riconosciuti. Meglio tardi che mai.


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