Esibizione travolgente di Matilde Politi domenica 30 novembre al teatro Sangiorgi, ospite dell'Associazione musicale etnea. Fisarmonica, tamburello, marranzano e tutti i suoni del Mediterraneo
La voce della Sicilia di ieri e oggi
Cosa ci fanno sul palco del teatro Sangiorgi un violinista barocco, un percussionista ungherese al quale «non gliene frega nulla della musica siciliana», un contrabbassista con il pallino della sperimentazione, un italo-greco con l’anima metallara e una polistrumentista catanese? Accompagnano una delle voci più belle della musica folk, Matilde Politi.
Ospite dell’Associazione musicale etnea, la cantautrice palermitana ha portato sul palco echi di una Sicilia antica che rivive nelle passione quotidiane delle persone che di questa terra ne conservano gioie e dolori. Molti dei brani eseguiti fanno parte dell’ultimo album della cantante eseguiti assieme al fratello Gabriele (che oltre al violino e alla viola ha suonato l’oud, strumento della tradizione araba), Simona Di Gregorio (dotata di una voce che sembra riprodurre alla perfezione vecchie registrazioni dei canti popolari), Lelio Giannetto (al contrabbasso e… alle trombette), Lajos Zsivkov (percussionista originale trapiantato a Palermo direttamente dall’Ungheria) e Dimitri Voutsinas (cantante di origini greche che ha accompagnato le voci femminili nell’ultima parte del concerto).
Si comincia con “Amuninni”, con i musicisti che salgono uno alla volta sul palco, per poi continuare con il canto tradizionale “Festa della borgata” che fino ai primi del ‘900 ancora riecheggiava tra le strade di Palermo e che la Politi ha riscoperto attraverso le voci degli anziani del quartiere dell’Albergheria.
La struggente “Figghiu miu” esplode con la forza delle parole di una madre natura che se perde la pazienza «vintra, mani e vuci scatena cu viulenza». Due canti tradizionali poi introducono “Acula riali”, storia di un amore in cui i protagonisti si sentono «addevi nna stu tempu foddi ca ‘un ci nutrichia ca ‘un ci campa ‘un ci cunnuci a nudda banna».
“Aria di spartenza” porta alla mente echi di terre lontane mentre nell’allegro canto di fimminazze “Cumari” e nella “Barcillunisa” sembrano racchiusi secoli di Sicilia. “Cascia ri suli”, canzone brasiliana tradotta in siciliano da Biagio Guerrera, è un particolare crocevia nel quale si incontrano due terre così lontane ma accomunate da vitalità e nostalgia. “Marzapaneddu” viene accompagnata da Voutsinas, che ne canta anche una parte tradotta in greco. “Semu ancili”, cantata con una voce a tratti arrabbiata, avvolge il pubblico che per le ultime canzoni (“Ainavò”, un montaggio di canti di tonnare, su tutte) non riesce a trattenersi e accompagna l’esibizione con entusiasmo.
Matilde Politi è a suo agio sul palco; dialoga con i suoi musicisti, scherza con loro, coinvolge il pubblico. La sua voce senza dubbio rende al meglio dal vivo e conduce la mente in terre troppo spesso dimenticate: quelle della memoria.