Se a livello nazionale ed internazionale si intravedono spiragli di ripresa, lo stesso non può dirsi per la Sicilia che resta relegata nel tunnel della recessione. L’ennesima spietata conferma dello stato in cui versa l’economia dell’Isola arriva dal servizio Statistica della Regione siciliana che meglio di qualsiasi altro istituto di ricerca conosce le cose di casa nostra.
Il quadro delineato è drammatico: sette anni di ciclo negativo con caduta libera del pil, perdita di posti di lavoro, una moria di imprese devastante e un evidente peggioramento del tenore di vita medio. Un’analisi che lascia poche speranze per l’imminente futuro , ecco quindi che “il clima economico nazionale ed internazionale con l’auspicabile esito di fuoriuscita dalla recessione che in esso si delinea è meno applicabile alla Sicilia, in considerazione del deciso cedimento della domanda interna che la regione ha subito”.
Ad ogni minimo accenno di svolta, dunque, si frappongono «le pesanti cadute registrate sia dalla parte dei consumi delle famiglie, che hanno subito pienamente la progressiva riduzione dei redditi disponibili e la flessione dell’occupazione, sia dalla parte degli investimenti, fortemente condizionati dalle avverse prospettive del mercato e dalle difficoltà di accesso al credito».
Nel dettaglio, le stime del Pil registrano ancora variazioni negative, (-1,3 per cento secondo le valutazioni Prometeia), e smentiscono le attese precedentemente formulate circa l’esaurirsi della fase recessiva. Il report dell’ufficio Statistica della Regione certifica, senza possibilità di smentita, che a incidere sulla contrazione del sistema produttivo sono stati la riduzione dei consumi delle famiglie che registrano a livello regionale negli anni 2008-2013 un calo medio annuo del 2 per cento, indotto dalla contrazione dell’occupazione (-1,9 per cento l’anno), dalla riduzione del reddito disponibile (-1,9 per cento l’anno in termini reali) e dalla contrazione del credito specificamente erogato (-5,9 per cento).
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, nel 2013, in Sicilia il tasso di disoccupazione ufficiale è stato del 18,6 per cento, ma «i dati più recenti – scrivono gli analisti della Regione – riferiti alla media delle tre rilevazioni del 2014, mostrano un’ulteriore contrazione del numero di occupati (-2,3 per cento) ed un tasso di disoccupazione che si attesta sul 22,3 per cento, avendo toccato il 23,2 per cento a inizio d’anno».
Unico dato positivo, come già aveva rilevato il report sull’Economia della Sicilia della Banca d’Italia, il turismo che, dopo aver archiviato il 2013 con un risultato negativo, mostra segnali di ripresa: il numero di presenze è stato pari a 7,6 milioni, in crescita del 3,6 per cento su base annua. Riprendono a crescere le presenze italiane (+9,1 per cento), mentre si riducono quelle degli stranieri (-1,4 per cento).
A pagare il prezzo più alto della crisi infinita, il settore delle costruzioni che segna un calo del 10,4 per cento e per l’anno in corso una ulteriore contrazione in termini reali del 4,7 per cento. «Si intravedono comunque – scrive l’ufficio Statistica della Regione – deboli segnali di ripresa nei primi mesi del 2014, nella produzione di cemento e negli importi dei lavori pubblici posti in gara. E nei primi otto mesi del 2014 si registra un aumento sia del numero di gare bandite (0,6 per cento) sia dei relativi importi (7,9 per cento). In flessione il numero degli occupati:-5,8 per cento».
Male anche il terziario, che copre oltre l’80 per cento del volume di attività economica dell’Isola: il valore aggiunto ha manifestato una riduzione di 3,3 punti percentuali nel 2013, con una tendenza al rallentamento della fase recessiva (-1 per cento) nel 2014.
Insomma, nulla di buono in Sicilia e nulla di buono all’orizzonte. Le politiche economiche del Governo nazionale e del Governo regionale, nonostante un quadro congiunturale drammatico, continuano, infatti, ad essere recessive, improntate all’austerity e ai tagli a tutto campo. Cui prodest?
La storia insegna che solo un massiccio intervento pubblico può dare una scossa in situazione come queste. Così è stato per la Germania che per risollevare le sorti della parte Est, all’indomani dell’unificazione, ha investito massicce risorse pubbliche in quell’area del Paese. Così anche negli Stati Uniti all’indomani della Grande recessione con il famoso New Deal.
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