Dai primi anni '80 lo Stato inizia a trasferire competenze e personale. Ma non passa anche le risorse finanziarie, messe a carico del bilancio regionale. Così la maggior parte dei contributi pensionistici non sono stati incamerati dallo stesso ente che, ancora oggi, continua a pagare le pensioni. Adesso il tema potrebbe tornare di attualità grazie all'intervento dell'assessore all'Economia Alessandro Baccei
La Regione siciliana e i suoi pensionati Una storia tra Roma e Palermo lunga 30 anni
«Una volta avviata la negoziazione con Roma si potranno discutere altri temi», dice al nostro giornale l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei. Bene. Visto che lo stesso assessore – peraltro correttamente – si accinge ad avviare il dibattito politico su una serie di riforme strutturali per arrivare, si spera, a quella che Piersanti Mattarella chiamava, quasi quarant’anni fa, «la Sicilia con le carte in regola», e visto che si dovrà affrontare anche il tema delle pensioni, ci sembra arrivato il momento di avviare un ragionamento sui pensionati della Regione siciliana. Partendo da un dato: l’eliminazione del Fondo pensioni della Regione voluto, alla fine degli anni ’70, non dal governo di Piersanti Mattarella, ma dalla maggioranza politica e programmatica che lo sosteneva all’Assemblea regionale siciliana (il Pci siciliano di quegli anni, che faceva parte della maggioranza programmatica, non ostacolò l’abolizione del Fondo pensioni regionale). Da allora in poi le pensioni dei dipendenti regionali si cominceranno a pagare con il Bilancio della Regione.
A partire dai primi anni ’80, in Sicilia, cominciano ad andare in scena fatti che avranno un peso non indifferente sui conti economici e finanziari. Lo Stato inizia a trasferire alla Regione competenze importanti insieme con il personale. Ma non trasferisce le risorse finanziarie, che verranno messe a carico del Bilancio regionale. La politica siciliana di quegli anni aveva la forza per farsi consegnare da Roma anche i soldi per gestire questo personale? Forse sì. Ma non la userà. Roma trasferisce alla Regione tante competenze in materia di Beni culturali: per esempio, le Sovrintendenze che, nelle altre Regioni, rimangono allo Stato (più di mille addetti trasferiti a carico del Bilancio regionale). La stessa cosa avviene con i Geni civili (altre mille addetti circa). Poi gli enti speciali: Enail (più di 800 persone) e un altro migliaio di addetti tra Iniasa, Inapli e Enalc. C’è anche il Corpo forestale, che diventa regionale, mentre in altre Regioni è gestito dallo Stato (1400 persone circa che vengono presi in carico dall’amministrazione regionale). Non solo. Va anche aggiunto che nelle altre Regioni italiane le aziende foreste sono a carico dello Stato, mentre in Sicilia – che prima delle riforme fatte dagli ultimi due governi regionali era un fiore all’occhiello della nostra Isola – è a carico della Regione.
Ma il trasferimento imponente – più di 2500 persone passate in un solo colpo dallo Stato alla Regione – avviene nel settore Lavoro: basti pensare agli Ispettorati del lavoro e agli uffici di collocamento. Un po’ incredibile quello che è successo con la motorizzazione, con il personale trasferito alla Regione (e quindi pagato dalla stessa Regione) che continuerà per anni a rispondere allo Stato in termini di gestione (per il trasferimento definitivo delle competenze alla Regione siciliana si dovrà aspettare il 2002).
Nel complesso, dai primi anni ’80 ai primi anni ’90, Roma ha trasferito alla Regione da otto a novemila addetti senza avere contestualmente trasferito le risorse. Anche se con qualche forzatura, la cosa va accettata, visto che siamo una Regione a Statuto speciale. Quello che non viene mai messo in evidenza è che tutto questo personale trasferito dallo Stato agli uffici regionali è andato in pensione a spese del Bilancio della stessa Regione. Il tutto senza che lo Stato abbia mai riconosciuto alla Sicilia le contribuzioni. La maggior parte dei contributi pensionistici di questo personale se l’è incamerata lo Stato, ma le pensioni le ha pagate la Regione. E che pensioni: già a metà anni ’80, in Sicilia si andava in pensione spesso con meno di sessant’anni con il 110-115 per cento dell’ultimo stipendio calcolato con il metodo retributivo.
Allora solo qualche politico siciliano cercò di porre la questione a Roma. Proponendo una pensione integrativa a carico della Regione, facendo pagare allo Stato il grosso delle somme di questo personale che aveva versato i contributi ai propri enti di appartenenza. Ma venne zittito. Tra il silenzio di tutti i ministri siciliani che si sono susseguiti fino ad oggi. La formula è sempre stata la seguente: «La questione viene rinviata alla definizione del contenzioso finanziario tra Stato e Regione».
Oggi che si sta per mettere mano alle riforme sarebbe opportuno definire questa parte del contenzioso. Per farsi restituire i soldi dei pensionati passati a miglior vita. Calcolando che almeno la metà di questo personale potrebbe essere ancora in vita ed è in pensione a spese del Bilancio regionale. Non è una ricostruzione difficile. Tutti i fatti amministrativi si possono ricostruire. Basta rivedere le carte. Parliamo del possibile recupero di decine di milioni di euro che potrebbero andare ad alimentare il Fondo pensioni della Regione, ricostituito tra il 2008 e il 2009.