La Pesca? Sì, di contributi pubblici

Cancellato il settore della pesca dal Governo Lombardo. E’ il dato che emerge dal bilancio di una fallimentare gestione politica intorno alle Marinerie siciliane.

Va bene che è finita l’era delle provvidenze a pioggia. Va anche bene che la crisi internazionale ha causato l’implosione dei bilanci delle imprese pescherecce. Va bene anche che le banche non hanno o non vogliono più erogare liquidità per sostenere l’attività d’impresa. Va bene anche che l’Unione Europea ha centralizzato le scelte intorno al settore, penalizzando le istanza delle regioni mediterranee.

La vicenda della quota tonno o del regime sui controlli sono solamente due dei tanti esempi. Una Regione autonoma senza autonomia. Un presidente della Regione autonomista senza idee autonome. Va bene tutto, paradossalmente. Ma ciò che non possiamo accettare è l’utilizzo di denaro pubblico (tratto dal bilancio regionale) per finanziare iniziative – senza alcuna incidenza reale – appannaggio solamente di chi le pone in essere.

Ancora una volta il riferimento è al Distretto produttivo della pesca di Mazara del Vallo. Qualche tempo fa, questa testata giornalistica aveva denunciato l’incongruenza tra l’utilizzo di denaro pubblico prelevato dal capitolo destinato alla promozione del pesce siciliano e lo Slow Sea Land. Una manifestazione che aveva promosso eccellenze siciliane, ma di pesce non se ne è visto. Costo totale dell’iniziativa:330 mila euro. Lo spunto per ritornare sull’argomento ci viene dalle dichiarazioni al vetriolo dell’Editore della rivista di settore dal titolo L’Armatore (editoriale, pubblicato nel numero 5/6 2012 del mensile).

Ciro Quinci sferra l’affondo contro il Distretto della pesca. Diverse le accuse, tutte pesanti. Ma andiamo con ordine.

E’ il caso di ricordare che esiste una convenzione tra l’assessorato regionale alle Risorse agricole e forestali ed il Distretto produttivo della pesca. Se l’impegno nel settore del Governo Lombardo si racchiude in questo atto, appare veramente poco. Peraltro, vedremo che l’impegno finanziario c’è stato. E per molti operatori del settore si è trattato di soldi mal spesi. Infatti, oltre alle spese di funzionamento di oltre 100 mila euro l’anno, il Distretto è stato destinatario – negli anni in cui la figura del Presidente è coincisa con quella del consulente in materia di pesca dell’assessore alle Risorse agricole e forestali – di diversi contributi per iniziative oggi oggetto di fortissime contestazioni.

E le contestazioni partono proprio da chi ha contribuito a fondare – come socio – proprio il Distretto. Quinci accusa il Presidente del Distretto di avere operato senza mandato degli associati. Duro l’affondo: “…qualsiasi modello possa avere il Distretto da Lei presieduto, non può considerarlo come un’azienda privata e agire di conseguenza come logico farebbe un imprenditore”. Ed ancora: “Non può utilizzare il Distretto per azioni che nulla hanno a che fare con gli scopi degli associati”.

Ciro entra nel merito della gestione interna quando afferma: “Qualsiasi iniziativa che va fatta in nome e per conto del Distretto deve essere discussa, condivisa ed approvata – prima – dalla stragrande maggioranza degli associati e poi eventualmente messa in atto. Perché ad oggi nessuno Le ha dato una delega in bianco. Non può agire motu proprio”.

Dalla lettura dell’editoriale ci accorgiamo di non essere soli nel contestare una strategia – quella del governo regionale – lontana dall’economia reale e irresponsabilmente sbordata verso lo spreco e l’effimero. Contestato anche il modello distrettuale come strumento di aggregazione finalizzato alla crescita del sistema imprese e del territorio.

I Distretti, infatti, sono in crisi già dagli anni ’90. E’ tramontata l’idea che potessero rappresentare la valida alternativa alla grande impresa. La globalizzazione dei mercati ha messo a nudo i limiti del modello distrettuale. Strumento rivelatosi incapace di fornire adeguate risposte rispetto alle nuove sfide dei mercati. E la Regione siciliana cosa fa? Promuove il circuito dei Distretti quando ormai si è visto che non aiutano le imprese a crescere e ad affermarsi?

Si rivela, in tal senso, incapace di tracciare una cornice di supporto alla difesa della produzione ittica siciliana. Mostra i propri limiti nel delineare una politica di rilancio e crescita concreta dell’economia ittica. Ancora l’affondo di Ciro Quinci: “Non bisogna utilizzare il Distretto solo come strumento per reperire soldi pubblici, puntando solamente all’intercettazione di ‘bandi’ per la crescita solo interna e a volte neanche di questa; utilizzando il buon nome delle aziende distrettuale come strumento per far piovere – non certo sulle imprese – denaro pubblico. Non è questo quello che chiedono gli associati”.

Chiarisce inoltre polemicamente: “Il fatto è che il Distretto è considerato dal Presidente una res nullius, una zona franca, dove può fare ciò che vuole”. Ed ancora: “Il problema – riferito all’azione del Distretto – non sta tanto nella difficoltà di aggregarsi, ma nel fatto che bisogna cambiare mentalità operativa; se non si modificano certe abitudini è facile che le cose peggiorino. Questo vuol dire che il risultato non dipende solo dalle azioni di ricerca di nuovi mercati Nord-africani o di pallosi o fumosi convegni, ma dalla capacità di cambiare modus operandi”.

Tanti i motivi di riflessione che possono trarsi dalle parole dell’editore de L’Armatore. E’ bene sottolineare che altri modelli organizzativi si sono affermati e diversi dal Distretto, oramai obsoleto. Va detto che i Distretti sono costituiti da aziende simili e concorrenziali, con potenziali problemi di governance. Quindi un sistema chiuso. Le “reti d’impresa” invece formate da imprese complementari, sono aperte, e non hanno vincoli territoriali né settoriali come i Distretti. La forza del Network sta nel fatto che tutti hanno interesse che gli altri funzionino bene, e nel fatto che di fronte alle difficoltà di una di esse, scatta subito un comportamento mutualistico.

Perché la Regione Siciliana ha continuato ad insistere sulla logica distrettuale? Quali interessi? Esistono report sulle iniziative svolte dal Distretto produttivo della pesca dal quale possano emergere concreti risvolti sull’economia reale? E’ possibile che sia così sterile il Governo regionale da non immaginare percorsi di crescita alternativi al Distretto? Che senso ha tenere una unità operativa al dipartimento regionale della Pesca che si occupi solamente della convenzione con il Distretto. Cosa significa? E perché un socio fondatore del Distretto lo critica così ferocemente?

Tutte domande che si chiedono tantissimi operatori, ma anche semplici pescatori. Siamo lontani dall’idea di un modello aggregativo flessibile, autodidatta che vive senza provvidenze pubbliche. Ma da lì ad immaginare un sistema regionale di spesa pubblica senza alcun ritorno sul settore, beh, questo sa proprio di sperpero di denaro pubblico.

Sigle sindacali di settore come la Cisl e l’Ugl hanno criticato l’operato del Distretto, come del resto Federoopesca o le industrie di trasformazione ittica che hanno disertato la manifestazione Slow Sea Food, rivelatasi una bolla. Per non parlare di Federpesca o delle tre Organizzazioni dei produttori della provincia dio Trapani che hanno criticato con tuonanti comunicati stampa la sterilita’ dell’iniziativa di Mazara del Vallo.

Lombardo ha perso una grande opportunità, quella di difendere l’autonomia delle Sicilia attraverso la battaglia a difesa delle ragioni della pesca siciliana e del Mediterraneo. Altro che convegni o accordi bilaterali, libici e tunisini. E’ dagli anni ’60 che sequestrano i pescherecci siciliani. Nuovi mercati da esplorare per cosa, per chi, con quali strumenti, mezzi e garanzie? Ma è proprio quello che le imprese ittiche siciliane chiedono?

Di certo non interessa all’80% della pesca siciliana composta da pescatori artigianali. Resta il rammarico, per tanti, di avere visto passare fiumi di denaro che non hanno inciso per niente sul sistema impresa pesca siciliano.

Il settore della pesca che esce fuori dall’esperienza del governo Lombardo appare più come un ulteriore comparto di precari che un’economia produttiva. Ma anche a questo ci siamo abituati, purtroppo.


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