Fino a poco tempo fa la vita di Antonio era un incubo. «Sono partito con mille euro, ho finito per darne 60mila. Avevo pensato di farla finita». Poi la denuncia e il supporto dell'Asaec. Oggi però, in piena emergenza e senza stabilità, il pericolo di sbagliare è forte
«La mia vita stravolta dagli usurai, oggi rischio altissimo» Lavoro nero o imprese da rilanciare, criminalità in agguato
«Qualcosa me la inventerò, spero di non arrivare al punto di sbagliare». Un messaggio che affiora dalla disperazione. Antonio ha poco più di 30 anni e fino a poco tempo fa la sua vita era diventata un incubo, stravolta dall’essersi messo in mano a due usurai. Oggi, in piena emergenza coronavirus, senza un lavoro stabile, con una famiglia da mandare avanti e la necessità di soldi per le spese di sopravvivenza, quell’incubo torna a fare capolino nella sua mente. «Quel rischio è fortissimo adesso perché non si sa quando e come si ripartirà – racconta a MeridioNews – ma io non lo farei più. C’è stato un momento, in quegli anni, in cui ho pure pensato di togliermi la vita. Basta». Eppure quel messaggio – «spero di non arrivare al punto di sbagliare» – inviato all’Associazione antiestorsione di Catania, in un momento di massimo sconforto, ha fatto scattare l’allarme. L’Asaec è intervenuta con una donazione straordinaria di 600 euro, utili ad Antonio di fare un bel po’ di spesa e pagare la bolletta della luce ampiamente scaduta. E passare una Pasqua più serena.
«Abbiamo deciso di intervenire perché ci siamo resi conto del momento drammatico – spiega Nicola Grassi, presidente dell’associazione – Non è nei nostri compiti, non ci sostituiamo allo Stato, ma la situazione è straordinaria. Abbiamo percepito un rischio importante, una possibile deriva che si ritornasse a compiere i medesimi sbagli. Gli siamo accanto da anni ormai e non lo lasciamo solo, ma il nostro pensiero è rivolto a chi non ha sostegni di questo tipo. È probabile, è facile che si rivolga nella disperazione a usurai che sono più che mai in agguato».
Il pericolo è reale. Le Prefetture siciliane, su input del ministero dell’Interno, hanno chiesto alle associazioni antiracket, antenne sul territorio, una panoramica sui loro iscritti e sui rischi che vedono. In questo senso la storia di Antonio è emblematica. Inizia a lavorare da giovanissimo nella sua Catania, impara un mestiere. Per anni rigorosamente in nero. Quando, però, tenta di dare una svolta alla sua vita formandosi una famiglia e mettendosi in proprio, il bisogno di liquidità si scontra con un muro troppo alto. «Lavorando in nero non avevo busta paga e non potevo accedere a finanziamenti. Ho dovuto rivolgermi a delle persone che prestano soldi a usura. Sapevo chi erano, nel quartiere era cosa nota. Ma pensavo di potermene uscire facilmente. Ho iniziato con una somma bassa, mille euro, per avviare una pratica di mutuo. Da quel momento la situazione è precipitata».
Il mutuo non viene concesso. E Antonio, pian piano, attinge sempre di più ai fondi dei due usurai. «Altri mille euro per pagare due mesi di affitto arretrato, poi ancora per tutte le spese da sostenere. In dieci anni – fa i conti – ho chiesto circa 25mila euro e ne ho restituiti 60mila». Ma il prezzo da pagare contiene anche altro. «Non ce la facevo più. Non potevo andare neanche a mangiare un gelato con la mia famiglia, ero sempre nervoso, non dormivo la notte, mi svegliavo, soffrivo di attacchi d’ansia. Tenevo tutto per me, ingannavo me stesso. Onestamente mi era passato di mente di farla finita, per non soffrire più e non fare soffrire la mia famiglia». La svolta arriva invece nel momento in cui confida tutto alla moglie. «È lei che mi ha spinto a denunciare»
Antonio fa i nomi dei due usurai a cui è costretto a cedere persino l’attività. Uno è uno stretto parente di un affiliato al clan Santapaola attualmente in carcere. «Due con una vita normale, un lavoro. E agganci anche con il circuito legale: per restituire una cifra, uno di loro mi propose di fare un finanziamento. Dissi che non avevo busta paga e mi rispose che avrebbe sbrigato tutto lui. Si è inventato una busta paga che evidentemente è stata accettata».
Dopo la denuncia Antonio e la sua famiglia si ritrovano soli. «Ci sono persone che non ti salutano più, come se il problema fossi io e non loro». Ad aiutarlo e ad accompagnarlo nell’iter processuale – che si è concluso con il patteggiamento a due anni – è l’Associazione antiestorsione di Catania. «Grazie a loro un anno fa ho fatto richiesta per il fondo vittime di usura, ma ancora non c’è nulla di concreto. E ora mi ritrovo in una situazione di forte disagio». I tempi lunghi della burocrazia non coincidono con quelli dell’emergenza Covid. «Mi davo da fare in nero con quei pochi clienti che hanno capito la mia situazione, ma ormai da oltre un mese sono fermo. E non percepisco aiuti da nessuno. I 600 euro – conclude – mi hanno fatto respirare».
Se oggi per Antonio e tanti altri la priorità è sopravvivere, tra poco a molti servirà liquidità per rilanciare la propria impresa. «E lì – denuncia Grassi, presidente Asaec Catania – un ruolo fondamentale lo avranno gli usurai con disponibilità di denaro, che qui spesso coincidono con la criminalità organizzata. Entreranno prepotentemente nelle piccole aziende, nelle piccole botteghe e i titolari neanche si accorgeranno di cedergli man mano la loro attività».