La memoria di Falcone e l’impegno di ricordare con i fatti

Quindici anni fa, il 23 maggio del 1992, il giudice Falcone, insieme alla moglie e ai tre uomini della scorta, cadeva vittima di un agguato mafioso, sul tratto di autostrada vicino Capaci. In occasione dell’anniversario della strage, la facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Catania e il Liceo Scientifico Statale “Boggio Lera” hanno promosso un incontro dal titolo “Legalità come impegno civile: la memoria delle vittime di mafia come occasione di consapevolezza per costruire il futuro”, tenutosi sabato 26 maggio nell’auditorium dell’ex Monastero dei Benedettini.

L’incontro, con l’introduzione del preside della Facoltà di Lingue Nunzio Famoso, del dirigente scolastico Giovanni Torrisi e della prof.ssa Mangiameli del “Boggio Lera”, ha visto la partecipazione del deputato europeo Claudio Fava. Co-autore della sceneggiatura de “I cento passi”, anche Fava ha pagato un prezzo a Cosa Nostra: suo padre, il giornalista catanese Giuseppe Fava, fu ucciso dalla mafia il 5 febbraio 1984.

“Dalla fine degli anni settanta la mafia ha scientificamente decapitato i vertici istituzionali siciliani, fino al botto del 1992”, in virtù di un clima di tolleranza da sempre radicato in Sicilia nei confronti di essa. Il problema della lotta alla mafia in Sicilia, per Claudio Fava, è proprio questa acquiescenza, più o meno consapevole, che viene fatta nei confronti del fatto mafioso. Falcone disse che la mafia è consenso, e per questo fu pericoloso “non solo come giudice, ma anche come intellettuale, perché cercò di erodere il consenso generale dei siciliani alla mafia. Fu un uomo di regole in una città, Palermo, senza regole: per questo in molte case, di notai e professionisti, la notte dopo la strage si brindò per festeggiare”.

Fava parla di memoria: la memoria di Falcone non deve essere la “memoria dei sentimenti; deve essere memoria quotidiana. Memoria è parola ampia e vasta: per essere approccio di contrasto alla mafia non deve essere declamata, ma sedimentata”. Il deputato ricorda degli inizi del giudice, presso il tribunale fallimentare di Palermo e della sua intuizione nel cercare tracce del fenomeno mafioso proprio tra i conti delle società finanziarie, capendo che la mafia moderna non è quella della coppola e del marranzano, ma una holding con ramificazioni internazionali. Combattere la mafia significa innanzitutto prendere coscienza “di quella zona grigia, di quella contiguità che lega mafia e non-mafia, di quella accondiscendenza che le ha permesso di diventare egemone. La mafia è tolleranza culturale, è giudizio sospeso”, e pagare il pizzo non significa obbedire a una regola, ma “pagare una tassa in più sulla base di una scelta di fondo”.

Non schierarsi apertamente, per Fava, è “un lusso che non è più permesso”. Il cardine della cultura mafiosa è l’impunità: dire no alla mafia significa procurare a Cosa Nostra “dolori e umiliazioni molto più forti di quelli che essa può subire da un maxi-processo”. L’esempio di Falcone, e come lui delle altre vittime di mafia, non deve essere considerato “eroismo”. Bisogna riportare queste figure alla normalità, poiché si trattava di uomini comuni “e non di eroi di celluloide o di carta”. Ciò che hanno fatto è stato scegliere da che parte stare, e non bisogna tanto notare “l’eroismo di uno, quanto invece la viltà di cento”, dichiara il deputato.

Fava, impegnato da oltre vent’anni nel tentativo di sensibilizzare generazioni di ragazzi siciliani alla lotta contro la mafia, ascolta le domande dei ragazzi e cerca il confronto, si compiace delle domande estemporanee, non meditate e già scritte su carta, perché “le domande che i ragazzi fanno a bruciapelo sono le più scomode, ma sono anche quelle che ti permettono di imparare di più e che fanno della politica e dell’impegno qualcosa di concreto, e non solo astratto”. I liceali del “Boggio Lera”, che hanno gremito l’auditorium, hanno applaudito il suo messaggio.

Tra molti studenti interessati non sono però mancati i chiacchieroni, gli affamati di biscotti, nonché gli accaniti ascoltatori di musica con immancabili lettori mp3. Al di là dei distratti, i più si sono mostrati abbastanza interessati. Un gruppo di loro, nell’ambito di un progetto realizzato a scuola e centrato sul tema in questione, il 28 maggio salirà su un aereo alla volta di Roma, ospite della Commissione Antimafia del Parlamento. Un’iniziativa, dichiara la professoressa Mangiameli, nata con lo scopo di rendere la scuola capace di “formare non solo studenti, ma soprattutto cittadini”, consapevoli che al di là della storia e della matematica c’è altro su cui riflettere.

“Quando ammazzarono mio padre”, dichiara Fava, “a Catania si disse che non era stato un delitto di mafia, perché a Catania la mafia non esiste. Il 6 febbraio 1984 gli studenti del liceo Spedalieri scrissero, con dei trasferibili su cartoni attaccati ai muri in via dello Stadio, che la mafia esiste. La loro è stata l’unica voce a Catania per dieci anni.” È necessario mettere a frutto “la disobbedienza alla cultura mafiosa”, e compiere una scelta, schierandosi contro o a favore della mafia: questo, ribadisce l’Onorevole, non significa diventare degli eroi, ma “ritagliarsi un proprio spazio in cui si possa fare bene il proprio lavoro in modo libero e autonomo. La scelta, per esempio, è quella dei ragazzi di Addiopizzo a Palermo: non entrare più in un negozio che paga il pizzo.” Queste scelte, costano alla mafia più “di un ergastolo da scontare”. E a chi le compie servono per non dimenticare.


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