La mafia dell’acqua: da Santo Stefano Quisquina un monito per ricordare…

di Luigi Capitano
Nella giornata in cui si è commemorato il ventunesimo anniversario della strage di via d’Amelio, bene ha fatto l’amministrazione di Santo Stefano Quisquina a voler dedicare una via del mio paese a Paolo Borsellino. Vorrei ricordare, senza mezzi termini, che esiste ancora una mafia dell’acqua dalle nostre parti e che il territorio di questo paese così ricco di sorgenti rimane al centro di una sistematica rapina di quello che è il bene comune più prezioso al mondo, uno dei più allettanti per le ecomafie.

Fra i più avidi rapaci di tali sorgenti c’è in primo luogo la Sanpellegrino-Nestlè, che preleva acqua a scopi commerciali fin dal 2007, avanzando sempre maggiori pretese di sfruttamento dell’acqua minerale, da quando ha rilevato l’impianto dalla Platani-Rossino, nel bel mezzo di una riserva forestale e ora del nascente parco naturale dei Monti Sicani, a due passi dalla Quisquina (su cui si trova arroccato il suggestivo Eremo di Santa Rosalia). Da tempo viene denunciato il rischio di un possibile pregiudizio dell’equilibrio idrogeologico dell’area, oltre che il pericolo di depauperamento dell’intera falda, sulla base di studi scientifici. L’intero bacino (uno dei più grandi della Sicilia) stava andando a secco ai tempi (anni ’60 e ’70) in cui la ex Montecatini di Porto Empedocle sfruttava intensivamente quelle fonti per uso industriale. Nel 1982 una memorabile protesta popolare portò alla chiusura dei pozzi, dopo la comprovata interferenza con l’unico bacino.

Ora, non si può certo dire che su questo sfruttamento privato dell’acqua non cada l’ombra inquietante della mafia, se è vero che il pentito Di Gati poteva indicare i nomi di quelli che lui stesso considerava i referenti e gli addentellati locali della criminalità quisquinese e agrigentina ai tempi di Provenzano (vedi verbale di interrogatorio della Procura della Repubblica del 15 marzo 2007 riportato anche da G. Arnone, in Romanzo criminale, Agrigento, 2011, pp. 171-186, in partic. p. 182). È opinione diffusa fra gli stefanesi che la mafia locale abbia avuto un suo ruolo in questo affare dell’acqua della Quisquina, finita nelle mani dei privati, ma purtroppo mancano le denunce da parte di chi, pur sapendo, rimane nella più beata o rassegnata omertà.


A una simile situazione, si aggiunge la faccenda, non ancora chiarita, dell’inquinamento da norovirus del pozzo Prisa a Santo Stefano Q., una vicenda che risale ad oltre due anni f
a (ce ne siamo già occupati su “Centonove” del 7 ottobre 2011, su “Grandangolo” del 4 agosto 2012, oltre che come promotori del comitato quisquinse di Liberacqua). L’unica cosa certa è che, mentre ripetute analisi delle autorità sanitarie davano esiti negativi, l’ordinanza sindacale che faceva divieto di bere l’acqua dai rubinetti di casa rimaneva per mesi e anni. Perché? Avevo ipotizzato: forse perché nell’emergenza acqua sarebbe stato più facile ottenere le sovvenzioni necessarie per realizzare una fonte di approvvigionamento alternativa (dalle sorgenti della Quisquina).

Sappiamo come è andata a finire. Nessun finanziamento regionale (pure annunciato sulla carta da Lombardo), e niente fonti alternative per Santo Stefano. Il “paese dell’acqua” (che con le sue ricche sorgenti rifornisce quasi mezza Sicilia) continua ad attingere dal 1971 ad un solo pozzo piezometrico! Ricordiamo che la falda risultava inquinata da norovirus fin dal marzo del 2011, finché il nuovo sindaco Francesco Cacciatore, insediatosi alle ultime amministrative, non ha revocato l’ordinanza di non potabilità, una volta che le autorità sanitarie locali di Bivona si sono finalmente decise a dare un parere favorevole, dopo aver molto insistito sull’istallazione dell’apparecchiatura anti-inquinamento.
Sappiamo pure come è andata a finire la faccenda dell’acqua pubblica in Sicilia. Con l’ex presidente della Regione Lombardo finito sotto processo per mafia. Ricordiamo che prima delle sue dimissioni, Lombardo aveva concesso ai suoi amici la gestione dell’acqua, a cominciare da quella delle sorgenti della Quisquina, come risulta dall’ultimo piano degli acquedotti che concedeva al Consorzio del Voltano e in pratica a Girgenti Acque il prelievo e la gestione di quasi tutte le sorgenti dei Monti Sicani, per una portata complessiva di molto superiore a quella sopportabile dal normale ciclo di ricarica del bacino idrico, come abbiamo denunciato con Liberacqua.

Nel frattempo, l’acqua è diventata teoricamente pubblica in forza di un referendum popolare dall’esito schiacciante, oltre che di una successiva sentenza della Consulta. Sappiamo bene che l’attuale presidente della Regione, Rosario Crocetta, aveva fatto dell’acqua pubblica uno dei suoi cavalli di battaglia, ma resta il fatto che il “Forum Acqua e Beni Comuni Sicilia” attende ancora una legge in merito (http://www.acquabenecomune.org/raccoltafirme/index.php?option=com_content&view=article&id=2139:il-forum-acqua-e-beni-comuni-sicilia-richiede-un-incontro-con-presdiente-crocetta&catid=163:notizie-flash), così come si attende del resto anche a livello nazionale.
Il decreto contro lo spettro dei commissari ad acta (nominati da Lombardo per la riconsegna forzata degli impianti idrici al gestore privato) ci ha dato un respiro di sollievo, ma la questione dell’acqua pubblica dev’essere ancora risolta, mi pare. Così come a S. Stefano Q. rimane da risolvere alla radice la faccenda delle abitazioni (con annesse fosse ‘biologiche’ non sottoposte a seri controlli) che si trovano vicine al pozzo Prisa, che rimane appunto l’unica fonte di approvvigionamento idropotabile per il mio paese. Non si capisce, fra parentesi, perché i cittadini stefanesi non possano godere, malgrado vigano ancora alcuni decreti che ne darebbero diritto, di quella sorgente di Capo Favara che è la fonte intorno a cui si è storicamente insediato il centro abitato di S. Stefano Q. e che tuttora rifornisce numerosi centri e ben tre diverse province (Agrigento, Caltanissetta, Palermo). 
A Santo Stefano Q. c’era dunque lo spettro del norovirus, ora insieme al virus sembra essere scomparsa anche l’ombra della mafia. Io non ne sarei tanto sicuro. Tanto è vero che l’appalto per l’acquisto dell’apparecchiatura anti-inquinamento a raggi ultravioletti (che dovrebbe garantire la potabilità dell’acqua) è andato magicamente indovinate a chi? Ad un imprenditore agrigentino già condannato per truffa, già implicato nell’affare dell’ospedale di Agrigento costruito con cemento impoverito, già coinvolto nell’altro affare del dissalatore di Porto Empedocle (vedi il link: http://www.linksicilia.it/2012/01/scusi-lei-che-fa-compro-la-mia-acqua/).

Stiamo parlando di un imprenditore che controlla quella Girgenti acque contro cui si sta già da tempo sollevando l’indignazione di un’intera provincia (non solo i sindaci già renitenti alla consegna degli impianti, ma ora perfino il sindaco di Agrigento, che non ne può più dell’inquinamento del mare di San Leone, delle bollette stratosferiche, del commissario straordinario D’Orsi, ecc.).
Insomma, la vecchia amministrazione di Santo Stefano (che ‘godeva’ di una compromettente amicizia con Lombardo) se ne va a casa, non avendo dimenticato di ‘regalare’ un appaltino da 35 mila € (in partenza erano 80 mila, che l’ex opposizione comunale ora in carica è riuscita a ridurre…) a chi magari non è nemmeno fornito della certificazione antimafia, viste tutte le credenziali che riesce a ‘vantare’ con la giustizia!

Della disastrosa gestione della Girgenti Acque si era pure occupata una serissima inchiesta giornalistica sull’acqua pubblica depredata dai privati, condotta da Alessandro Zardetto (H2ORO, RX, Roma, 2011, pp. 56-65). Il libro ne parla giustamente come di uno scandalo nazionale. Vorrei a questo proposito ricordare un’altra inchiesta, non meno interessante per le nostre zone: quella di Dario De Luca, apparsa già l’anno scorso su “Sud Press” come su “Grandangolo”. Ne riprendo alcuni passaggi, rimandando al sito per una consultazione integrale:
«Non solo politica ma anche appalti, ed è proprio in questa sfera che Maurizio Di Gati cita nel processo Lombardo, il nome dell’imprenditore agrigentino Marco Campione: “Era l’imprenditore vicino a me ed era abbastanza favorevole per i progetti che c’erano in quel momento, dal movimento terra alle condotte idriche, dove c’erano da guadagnare più soldi”.

Su di lui, si sono sviluppati di conseguenza degli accertamenti dei Ros di Catania, come in maniera diretta il maggiore Luigi Arcidiacono ha rivelato durante la penultima udienza del processo Lombardo: “Campione Marco è un imprenditore di cui Di Gati ha riferito, dagli accertamenti che abbiamo svolto è emerso come imprenditore particolarmente importante nella Provincia di Agrigento. (…) Era uno degli imprenditori che veniva citato nel corso delle intercettazioni ambientali effettuate all’interno della segreteria politica di Lo Giudice Vincenzo quale imprenditore inserito nell’organizzazione mafiosa”.

Ma chi è e di cosa si occupa Marco Campione? Attualmente è il socio di maggioranza della Girgenti Acque s.p.a., società che dal novembre 2007 gestisce il servizio idrico integrato della provincia di Agrigento grazie ad una convenzione con l’Ato. (…). Un vero e proprio sistema di scatole cinesi poiché tra i soci della Girgenti Acque ha un ruolo importante la Acoset Spa di Catania, altra società inserita nel mercato dell’acqua e gestore del servizio idrico nella fascia pedemontana della Provincia di Catania. Leader di quest’ultima è il geometra Giuseppe Giuffrida, (…) considerato vicino al Mpa di Lombardo. La sua ‘creatura’ nata nel 1999 come ente speciale si è trasformata nel 2003 in società per azioni a partecipazione pubblica, iniziando la scalata nel business dell’acqua pubblica siciliana». (D. De Luca, Processo Lombardo: l’affare dell’acqua e la mafia agrigentina, 31 maggio 2012, http://malgradotuttoblog.blogspot.it/2012/06/processo-lombardo-laffare-dellacqua-e.html).

La scandalosa gestione della Girgenti Acque è tornata alla ribalta delle cronache dopo le denunce di un ex amministratore delegato (tale Carmelo Salamone) che, dimettendosi, ha cominciato a scoperchiare le magagne e le irregolarità di bilancio e di ogni altro genere commesse dalla società per azioni che dovrebbe gestire l’acqua della nostra martoriata provincia.
Il processo di privatizzazione in Sicilia data da quando nel 1999, recependo una sciagurata legge nazionale, con Capodicasa presidente della Regione e Cuffaro assessore, si istituiscono gli ambiti territoriali e la gestione passa di fatto ai gestori privati. Milioni di euro sono stati stanziati con finanziamenti comunitari negli anni Duemila e non sappiamo che fine abbiano fatto, o meglio possiamo solo immaginarlo.

La gestione dell’acqua in Sicilia è storicamente legata agli interessi della mafia, purtroppo lo sappiamo. Negare questo dato storico equivarrebbe ad un’altra strage. Di quest’ultima strage – contro la verità – tutti rimaniamo le vittime. Chi combatte perché luce sia fatta sulle opacità che gravano sulla vicenda di Falcone e Borsellino, anche su pezzi dello Stato, non potrà che condividere questa mia ben poco consolante analisi. Ma è forse anche questo tipo di consapevolezza e di lucidità che si richiede per fare maturare la coscienza civile e per onorare le grandi figure dell’antimafia: che si chiamino Lorenzo Panepinto (ai tempi della mafia dei latifondi) o Paolo Borsellino (ai tempi della mafia anche di Stato). Certo non bastano le parole, ma anche le parole possono servire a ristabilire un minimo di verità, se non altro possono servire a non dimenticare.

Ad Agrigento e provincia l’acqua costa 11 volte in più che a Milano!


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