La legge antiparentopoli impugnata/ Gli Uffici legislativi dell’Ars avevano avvisato Crocetta di non guidare a fari spenti nella notte…

I ‘bravi’ consulenti del presidente della Regione si sono resi protagonisti di un ennesimo sfondone costituzionale…

“Guidare a fari spenti nella notte”, cantava Lucio Battisti quando era in cerca di nuove ‘Emozioni’. La stessa spasmodica ricerca di nuove proibite ‘emozioni’ sembra ispirare alcune azioni del Governo regionale siciliano guidato da Rosario Crocetta. Che, pur avendo a portata di mano l’interruttore della luce, preferisce il buio. Andando a sbattere.

E’ il caso delle sue nomine, sulle quali gravano pesanti dubbi di illegittimità alla luce dell’ormai famoso Decreto legislativo 39 (vedi caso Irsap e Irfis). La Giunta regionale, pur conoscendo il testo di legge (a meno che a Palazzo d’Orléans non ci siano consulenti giuridici ‘asini’ che si dichiarano ‘bravi’) ha voluto  ignorarlo. Tanto da attirare l’attenzione del Commissario dello Stato, Prefetto Carmelo Aronica, ed una reprimende-seppure diplomaticamente indiretta- del Ministro per la Semplificazione amministrativa, Gianpiero D’Alia. 

Ed è anche il caso, a quanto pare,  della chiacchierata legge antiparentopoli, ‘inchiummata’ senza pietà dal Commissario dello Stato Aronica, (come vi abbiamo raccontato qui) per incostituzionalità.  Una legge che, probabilmente, nelle intenzioni del Presidente della Regione, avrebbe dovuto propagandare il suo  attaccamento alla legalità e alla trasparenza.

Questa legge, quando era ancora in discussione a Sala d’Ercole, aveva già infiammato il dibattito  parlamentare: Nello Musumeci, ad esempio, Presidente della Commissione Antimafia all’Ars e persona seria che ha avuto la sfortuna, alle scorse regionali, quando ha sfidato lo stesso Crocetta,  di farsi sostenere (quindi azzoppare)  da quella ‘allegra’ banda  del Pdl siciliano, ha detto chiaramente che “Crocetta, inseguendo spasmodicamente il varo di questa legge, sembrava più interessato a ottenere un titolo di giornale piuttosto che una norma razionale e compatibile con le esigenze di moralizzazione della politica”.

Mentre il capogruppo del Movimento 5 Stelle, Giancarlo Cancelleri, non ha esitato a parlare di  una “legge spaventapasseri”. In pratica, “una farsa demagogica e incostituzionale”, come ha detto anche il deputato del Pdl, Giorgio Assenza.

Ebbene, al di là delle intenzioni più o meno propagandistiche della Giunta,  c’è la prova che, ancora prima dell’impugnativa del Commissario dello Stato, il Presidente della Regione e i suoi ‘brillanti’ giuristi, sapevano che si trattava di un testo di legge incostituzionale.

La prova in questione è la relazione stilata dall’Ufficio Servizi Studi Legislativi dell’Assemblea regionale siciliana che pubblichiamo in esclusiva in calce all’articolo.

Il documento, un centinaio di pagine con una scheda di sintesi che riassume la querelle,  datata Gennaio 2013, esamina punto per punto  il testo proposto dal Governo regionale, sottolineando, giù nelle prime pagine l’esigenza di “una riflessione relativa all’accertamento di una legittimazione del legislatore regionale a porre una disciplina diversa rispetto a quella stabilita a livello statale in relazione alla determinazione dei requisiti per l’accesso alle cariche elettive regionali”.

I giuristi di Sala d’Ercole mostrano, citando numerose sentenze della Corte Costituzionale, che l’orientamento giurisprudenziale è chiaro e stabilisce il principio di uniformità: “La  giurisprudenza costituzionale si è sempre espressa a tal riguardo in senso molto restrittivo. Il giudice delle leggi ha infatti avuto modo di affermare che sussiste un’esigenza di tendenziale uniformità su tutto il territorio nazionale della disciplina dell’elettorato passivo (sentenza n. 376 del 2004), per cui la introduzione di discipline regionali differenziate, rispetto a quella richiesta dalla legge nazionale, può giustificarsi solo in presenza di particolari situazioni ambientali che giustifichino normative autonome”.

In buona sostanza, leggendo la relazione, non si può certo dire che  il Governo regionale non fosse stato informato in tempo del rischio, molto concreto, di incostituzionalità e di una impugnativa da parte dell’ufficio del Commissario dello Stato: impugnativa che è puntualmente arrivata.

Non solo. Nel testo poi approdato in Aula, e passato con i voi della maggioranza (evidentemente neanche questi deputati avevano capito la relazione dell’Ufficio studi legisltativo  dell’Ars…) non erano state recepite neanche  le ‘correzione’ indicati dagli esperti.

Questa vicenda segna anche una profonda differenza – spiace dirlo: di ordine culturale – tra i dirigenti dell’Ars e il gruppo di lavoro del presidente Crocetta. I primi hanno dimostrato di vedere in anticipo i punti critici di questa sballata iniziativa legislativa. I secondo o li hanno ignorato, o non li hanno capiti. 

Ci piacerà tanto essere smentiti: magari con il Governo della Regione (e con i suoi consulenti) che accetteranno di andare a discutere il caso davanti la Corte Costituzionale. Del resto, anche il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, se non abbiamo capito male, ha invitato il Governo a difendere le proprie tesi davanti la Consulta. Sarà così?

Quello che è certo è che è stata una corsa ‘ a fari spenti’ verso un’inevitabile impugnativa. Ci chiediamo se il Presidente della Regione sia davvero sicuro di essere circondato da consulenti giuridici competenti o in buona fede nei suoi confronti…

DOSSIER ANTIPARENTOPOLI DELL’UFFICIO LEGISLATIVO DELL’ARS


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