Il timore di essere stati tagliati fuori da un affare milionario spinse il re delle rinnovabili a cercare di rifarsi su Antonello Barbieri, l'operatore finanziario milanese arrestato con l'accusa di essere un prestanome. Il piano però fallì per un errore marchiano
La gaffe dei Nicastri per riprendersi il fotovoltaico Arata: «Sbagliata data dell’assegno? Siete scemi»
Il pomeriggio del 17 febbraio 2010, un uomo sulla quarantina, alto non più di un metro e settanta e con pochi capelli, è seduto nella sala d’attesa dell’aeroporto di Palermo. Vestito di grigio, tiene aperto davanti a sé il portatile, quando gli si presentano davanti gli agenti della polizia di frontiera. Non è l’unico a cui chiedono i documenti, ma il solo di cui vogliono scoprire l’identità. A chiedergli di intervenire sono stati, infatti, alcuni investigatori. Lo avevano seguito da Alcamo, dopo averlo visto uscire dalla sede di una delle società di Vito Nicastri. Quell’uomo, che agli agenti specifica di essere in attesa di un amico carabiniere, con il quale realmente si incontra e scambia una busta, è Antonello Barbieri, l’operatore finanziario arrestato nell’inchiesta sulle rinnovabili perché ritenuto prestanome del re dell’eolico.
È il primo contatto tra i due a finire nel mirino degli investigatori. A quel tempo dovevano ancora succedere molte cose. A Nicastri, per esempio, doveva ancora essere sequestrato il patrimonio da oltre un miliardo per la vicinanza al boss Matteo Messina Denaro, mentre Barbieri non era stato ancora condannato per riciclaggio nell’ambito del processo per il tentativo di scalata di Bnl da parte di Unipol e Banca Popolare Italiana. Ma soprattutto, in quel momento, i rapporti tra l’uomo d’affari d’origine calabrese ma milanese d’adozione e l’imprenditore siciliano dovevano ancora deflagrare. Per gli inquirenti l’intesa inizia a incrinarsi a dicembre 2015, in concomitanza con l’entrata in gioco dell’ex parlamentare di Forza Italia Paolo Arata, anche se realmente va a pezzi lo scorso anno quando Nicastri capisce di poter essere rimasto fuori dalla partita Sun Power Sicilia. La società che i Nicastri – come ricostruito da MeridioNews – sono riusciti a ricomprare dal tribunale, tramite Barbieri e con modalità ancora non del tutto chiare.
Torniamo quindi alla primavera 2018. La Sun Power Sicilia è nelle mani di Barbieri e ottiene dalla Regione l’autorizzazione unica per un impianto fotovoltaico da realizzare tra Carlentini e Melilli. Si tratta di un passaggio fondamentale nella strategia che, secondo i magistrati della Dda, Nicastri avrebbe portato avanti negli anni: ottenere i nulla osta necessari per rivendere a peso d’oro i progetti ai colossi della green energy. Stavolta però il re dell’eolico teme di rimanere fuori dai giochi, complice anche la nuova carcerazione seguita alla pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, per cui di recente la procura di Palermo ha chiesto dieci anni di carcere. La stizza è tanta e così Nicastri e il figlio Manlio decidono di mettere i bastoni tra le ruote a Barbieri. Dal canto suo, l’uomo d’affari aveva nel frattempo venduto l’80 per cento delle quote a BayWa Italia, società legata a una holding tedesca dal fatturato miliardario, ai cui vertici nel nostro Paese si trovano Alessandra Toschi e Lorenzo Palombi. I due in un certo senso arrivano dal passato di Sun Power Sicilia: tra il 2007 e il 2009, infatti, siedono nel cda della società quando ancora si chiamava Sicilia e Sole. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, Barbieri vende a BayWa per poco meno di 500mila euro, ma con un impegno tra le parti a rimpinguare la somma se la Regione avesse concesso di raddoppiare la portata dell’impianto.
I Nicastri seguono l’affare da lontano, consapevoli che si tratta di una compravendita lucrosissima. Per Manlio in ballo potrebbero esserci cinque milioni di utili. Gli alcamesi allora tentano di rientrare dalla finestra e recuperare la parte che ritengono spetti loro. «Sudore, sangue, in macchina ho fatto i chilometri per andare sempre a Carlentini – racconta il figlio di Nicastri ad Arata – Abbiamo speso 200mila euro. Perché? Ora ce li ha in mano lui (Barbieri, ndr)». Ma oltre alle spese, i Nicastri puntano a mettere le mani sulla parte di guadagno che sarebbe stata concordata nel 2013 davanti a un notaio, anche ??? l’atto, stando agli inquirenti, non sarebbe stato registrato. Il documento stabiliva che a Nicastri sarebbe andato il 40 per cento della futura vendita di Sun Power Sicilia. Il piano dell’imprenditore alcamese, come già raccontato nei giorni scorsi, avrebbe previsto perfino il coinvolgimento del funzionario regionale Giacomo Causarano – uno dei due burocrati arrestati – ma non solo. Tutto parte con il ritrovamento di un assegno legato a un conto della Sun Power Sicilia: un assegno da oltre 500mila euro, già firmato, ma senza l’indicazione del beneficiario né tantomeno la data di emissione. L’occasione per i Nicastri è ghiotta per iniziare a riprendersi qualcosa. «Intanto sono soldi che mi servono qua, a sopravvivere a tutti, allegramente», dice Manlio.
L’intento è quello di intascare la somma intestando l’assegno a una delle società di famiglia, che in passato aveva avuto rapporti con Sun Power Sicilia, con il convincimento che, davanti, a quella furbata, Barbieri non avrebbe battuto ciglio per evitare di alzare polveroni con i nuovi proprietari. «Per uno che guadagna 800 milioni di euro l’anno (BayWa, ndr), cinquecentomila che sono? Niente», dice il più giovane dei Nicastri parlando con Paolo Arata e il figlio Francesco. La mossa successiva sarebbe stata poi quella di far valere gli accordi pregressi con Barbieri – nel 2018 ancora detentore del 20 per cento di Sun Power Sicilia, da cui invece è uscito due mesi cedendo tutto a BayWa – proponendo al milanese di comprare a prezzo maggiorato una serie di turbine del mini-eolico, così da evitare di effettuare pagamenti direttamente nei conti di Nicastri destando sospetti. Tuttavia il recupero dei crediti si blocca prima di iniziare. Nell’assegno Vito Nicastri mette la data del 16 ottobre. L’errore è di quelli grossolani: quel giorno, infatti, a risultare amministratore unico di Sun Power Sicilia non è più Antonino Tindaro Spartà, l’uomo che aveva firmato l’assegno in bianco e che nel 2013 aveva rilevato la gestione della società dal tribunale subentrando dall’amministratore giudiziario Nicola Ribolla. Spartà era uscito da Sun Power Sicilia a fine settembre, dopo la chiusura della vendita a BayWa e la costituzione del nuovo cda da parte dei già citati Toschi e Palombi e dello stesso Barbieri.
Pur ammettendo lo scivolone – «minchia, mio padre ha sempre fretta» – Manlio Nicastri è ancora convinto di poter correggere il tiro, rivalendosi sulla società e su una presunta responsabilità che avrebbe sull’assegno, indipendentemente dal firmatario. A quel punto, però, interviene Paolo Arata. «Responsabilità? Se un matto alla Fiat firma gli assegni per miliardi, mica pagherà la Fiat», replica. Per poi dopo affondare il colpo, quando Manlio Nicastri lo informa che fino a fine settembre Spartà era dentro la società: «Siete scemi allora, scusami». In effetti le speranze di incassare quel mezzo milione sfumano di lì a poco. Barbieri, infatti, informato dalla banca dell’accaduto, va a denunciare lo smarrimento di diversi assegni, tra i quali quello adocchiato dai Nicastri. «È evidente che la falsa denuncia era finalizzata a impedire che Nicastri potesse portare all’incasso altri titoli della Sun Power Sicilia in suo possesso mettendolo in imbarazzo con i nuovo soci della BayWa Italia», è l’annotazione della Direzione investigativa antimafia.