“Io, testimone di Giustizia, lasciata sola”

Collaborano con la giustizia, fornendo informazioni utili allo Stato e così mettono a rischio la propria vita e quella dei propri familiari, decidendo di cambiare identità, casa e nome. Lasciano i propri affetti, spesso col divieto di rientrare nel luogo di origine o di rifarsi una vita che non ha nulla di diverso da una forma di esilio. Dei veri e propri eroi dei nostri tempi.

Questo è quello che è accaduto anche all’imprenditrice palermitana, Valeria Grasso, che, in una lettera pubblicata su Affaritaliani.it, si rivolge al Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, per raccontare il suo dramma dopo essersi ribellata al racket.

Da circa un anno Valeria Grasso è entrata nel programma di protezione come Testimone di Giustizia, facendo la ‘scelta’ di andare via da Palermo e trasferendosi in una località protetta.

La sua testimonianza è risultata decisiva, perché ha consentito alla giustizia di individuare e condannare alcuni componenti del clan Madonia – Di Trapani del quartiere San Lorenzo di Palermo, nonché i suoi estorsori che ha trovato il coraggio di denunciare.

“Ciò ha comportato radicali cambiamenti nella mia vita ed in quella della mia famiglia – scrive l’imprenditrice – ma è proprio per i miei figli che ho scelto di vivere nella località protetta. Anche se ho pensato che vivere una vita blindata, sotto scorta e rinunciare alla libertà non deve essere semplice per i miei tre figli di 11, 13 e 19 anni”.

Una decisione presa a denti stretti, quella dell’imprenditrice che, inizialmente, sperava di poter assicurare alla propria famiglia una vita dignitosa, serena e lontana dai pericoli.

“Se da un lato credo di aver garantito ai miei figli una vita più serena, dall’altro – scrive ancora Valeria Grasso – mi sento sconfitta e frustrata, perché sono andata via dalla mia terra e sento che i miei sacrifici e il coraggio di avere denunciato i miei estorsori non siano serviti a nulla”.

Si sente sola e abbandonata, Valeria Grasso, che nella sua lettera racconta la profonda solitudine provata dopo quel grande passo che ha stravolto la sua vita per sempre: la scelta di denunciare i suoi aguzzini.

“Avverto, con grande amarezza e sconforto – si legge nella lettera – che della nostra vita non importi a nessuno e meno che mai a chi dovrebbe invece proteggerla”.

Le è stata assegnata un’abitazione in località protetta e, per legge le viene erogato un contributo da testimone pari ad 2 mila e 640 euro mensili. Questa una delle tante regole previste dal programma di protezione speciale per i collaboratori di giustizia.

“Prima di ricevere l’abitazione – racconta – passo alcuni mesi in diverse strutture alberghiere. Da maggio fino alla metà di settembre, il contributo mensile nel periodo di permanenza nelle strutture alberghiere mi viene dimezzato a mille e 320 euro. Il problema sta nel fatto che, dopo aver ricevuto l’abitazione, dal mese di settembre 2012 il contributo sarebbe dovuto essere erogato per intero”.

Ma non è così, perché all’imprenditrice, nei mesi di settembre, ottobre, novembre 2012 e aprile 2013, vengono trattenute, rispettivamente, 350, 500, 500 e 450 euro del contributo mensile.

Per l’esattezza, si trattava di “trattenute dovute ad asserite e non dimostrate consumazioni di extra, durante la permanenza nelle strutture alberghiere”, precisa Grasso. (a sinistra, foto tratta da ilcarrettinodelleidee.com)

Tramite esposti, istanze e anche diffide formali, l’imprenditrice ha provato innumerevoli volte a sollecitare gli alberghi per prendere visione delle ricevute e capire da cosa dipendessero questi contributi extra, ma non ha ottenuto mai una risposta.

“Dopo aver insistito ripetutamente – scrive – mi hanno mostrato le fatture che gli alberghi avevano recapitato al Servizio Centrale di Protezione, nelle quali erano addebitati gli importi giornalieri degli extra in maniera del tutto generica e imprecisa. In particolare, mancavano le singole ricevute, le asserite consumazioni da me debitamente e singolarmente firmate. Il Servizio Centrale di Protezione – precisa ancora Valeria Grasso – per la quantificazione degli extra, si è basato esclusivamente a quanto comunicato loro dagli alberghi, in modo del tutto arbitrario e senza alcuna possibilità di controllo: né da parte del predetto Servizio Centrale di Protezione, né da parte mia”.

Pertanto l’imprenditrice, come riferisce nella lettera, si è limitata a recepire per buone, le fatture inviate dai singoli alberghi senza che potesse fare nulla.

Le fatture in questione, infatti, “erano direttamente intestate ed indirizzate al Ministero degli Interni – Servizio Centrale di Protezione, da quest’ultimo pagate e successivamente addebitate al Testimone di Giustizia nella parte unilateralmente asserita a carico di quest’ultimo”.

Il tutto avveniva senza alcun avviso o preventiva verifica e comunicazione e senza che Valeria Grasso potesse decidere di bloccare tempestivamente i superiori addebiti o semplicemente visionarli.

“In sostanza – spiega – si è verificato che il Servizio Centrale di Protezione ha dato per buono, sic et simpliciter quanto addebitato dagli alberghi, non dubitando affatto della buona fede di questi ultimi che, in teoria, potrebbero addebitare tutte le somme volute e senza alcun limite. Come è evidente, il meccanismo che genera queste trattenute è assolutamente perverso e privo di controllo da parte mia, così come da parte di tutti gli altri Testimoni di Giustizia e soggetti sotto tutela che, verosimilmente, subiscono anche loro quanto qui esposto”.

Grasso si rivolge accoratamente al Presidente Boldrini, invitandola a mettere fine a questo sistema insano, che avviene all’interno di protocolli inviolabili.

“Questo è un meccanismo inaccettabile, che dovrà essere stroncato con estrema durezza e fermezza. Inoltre, la difficoltà nel ricevere delle risposte esaustive, motiva più del sospetto”.

Ne è certa Valeria Grasso, e precisa che né lei, né i suoi familiari hanno consumato gli extra addebitati e di cui non si sa neppure l’origine. E aggiunge pure un particolare. In quel periodo, ad alloggiare nelle strutture alberghiere erano soltanto due dei suoi tre figli, mentre lei e la figlia Margherita erano in località d’origine. Neppure il suo compagno era presente.

Incomprensibile dunque, per l’imprenditrice, il fatto che il Servizio abbia pagato sempre per intero il soggiorno di 5 cinque persone nelle strutture alberghiere.

“Che fine fanno i soldi pubblici?”, si chiede Valeria Grasso. Perché il Servizio Centrale di Protezione si fida ciecamente degli albergatori e non si fida di quello che io dico, né apre un’inchiesta, né riesce a dimostrare e a documentare ciò che asserisce? Perché il Servizio Centrale di Protezione si preoccupa di addebitare presunti extra ai Testimoni e non si preoccupa di decurtare agli albergatori la parte di servizi non erogati dall’albergo?”

Valeria Grasso convive con un’altra spina nel cuore, forse la più dolorosa. La figlia, infatti, è molto ammalata e, come se non bastasse, dall’1 Aprile di quest’anno le hanno sottratto la parte di contributo destinata alle sue cure.

“Mia figlia – si legge – è dovuta tornare a studiare a Palermo, perché in preda ad una gravissima crisi depressiva. Questa crisi è certificata da ben quattro medici, due dei quali del Servizio di Igiene Mentale della Asp di Palermo e gli altri due mandati direttamente dal Servizio Centrale di Protezione. Gli stessi medici le hanno consigliato il temporaneo ritorno a Palermo, perché rischiava di compromettere l’anno scolastico.

Valeria Grasso, anche in questa occasione si è sentita abbandonata dalle istituzioni e punta il dito contro lo Stato italiano e il Servizio Centrale di Protezione per aver ‘sottovalutato’ lo stato di salute della figlia.

“Sono davvero addolorata – scrive – . Mia figlia torna a Palermo per gravissimi motivi di salute e lo Stato cosa fa? Senza dirmi nulla mi decurta la parte del suo contributo. Chi dovrebbe occuparsi di lei? Sono distrutta. E non soltanto perché, per avere fatto il mio dovere di cittadina e di mamma, ho dovuto subire il dolore di lasciare la mia casa, la mia famiglia e la mia terra, ma anche perché adesso mi trovo forzatamente lontana anche da mia figlia Margherita”.

Valeria Grasso si dispera perché lo Stato, come detto prima, ha allontanato la figlia di 19 anni, dal nucleo familiare. La ragazza, gravemente depressa, è costretta a vivere momentaneamente dai nonni per non perdere l’anno scolastico.

“Tutto ciò – scrive la Tesimone di Giustizia alla presidente delolqa Camera dei deputati, Laura Boldrini – è inaccettabile e auspico veramente che il Suo prezioso intervento possa servire a stroncare pubblicamente questo sistema perverso che Le ho rappresentato”.

“Le dico che il mio impegno nella diffusione della cultura della legalità e della lotta alla mafia – si legge sempre nella lettera – continuerà, soprattutto tra i giovani, per far sì che comprendano quanto sia importante credere e diffondere i valori della nostra Costituzione. Per questo motivo vorrei realizzare dei seminari, convegni ed eventi, che ho sempre sognato di portare avanti per dare ai giovani la possibilità di scegliere, di essere protagonisti del loro presente e del loro futuro e non semplici spettatori. Spero, infine, che Lei possa davvero raccogliere questo mio grido di aiuto per costruire insieme degli esempi positivi, perché pagare il ‘pizzo’ e comunque vivere nell’illegalità, è il prezzo più grande da pagare”.

 


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