Into The Wild: Sean Penn incontra London

Into The Wild

Usa

2008

Regia: Sean Penn

Con: Emile Hirsh, William Hurt, Marcia Gay Harden, Vince Vaughn, Catherine Keener, Hal Holbrook

Quando scorrono via i titoli di coda di Into The Wild lo spettatore avverte qualcosa al centro dello stomaco. Le immagini dell’America – in tutta la sua grandezza, in tutta la sua esplosione di natura, nelle cartoline di strade enormi e lunghissime, nello stupore di mondi e scenari che cambiano e di profondità d’orizzonti che si perdono – sono il veicolo di una primitiva emozione che prende forma da quel desiderio di libertà che in ogni uomo è chiuso a chiave nel cuore, e che solo certe sequenze e certi input sanno far evadere con tutta la forza. E’ questo innanzi tutto il merito del regista Sean Penn, il merito cioè di parlare con il linguaggio della “natura” che la sua macchina da presa riesce a riportare con grande “naturalezza”.

Certo la storia di partenza, poi, è di quelle da lasciare senza fiato. Una storia vera che Penn lesse nel best seller di Jon Krakauer; e combatté molto per tradurla in celluloide. La parabola di un giovane uomo, Chris McCandless (interpretato da Emile Hirsh), che, appena laureato, decide che la sua vita domestica è finita lì. E parte, seppellisce la sua auto, getta via la targa, brucia i dollari del suo portafoglio e “uccide” Chris. Da quel momento in poi si ribattezza Alex Supertramp, “estremista e viaggiatore esteta”, e comincia ad esplorare il mondo nella sua interezza e non ‘filtrato’ dalla società, dalla famiglia, dall’umanità repressa. Il viaggio on the road di Alex, così, è innanzi tutto un conoscere se stesso alla rincorsa dei i suoi limiti. Ma è anche la cinepresa su una collezione d’esperienze di vita e di formazione. Lungo il suo cammino lavorerà come bracciante in una grande distesa di grano, venderà libri in una piccola comune di nostalgici hippy, riscenderà il fiume in kayak arrivando in Messico, stringerà amicizia con un anziano ex soldato ora artigiano di cuoio. Fino all’ultima tappa della sua nuova vita: il sogno londoniano (Jack London) dell’Alaska. La lotta per la sopravvivenza, gli effetti collaterali della caccia, il gelo, la natura selvatica, l’autobus (Magic Bus) abbandonato e trasformato in casa, la morte.

Penn non sbatte la sua mano dentro al film, non si mette in mezzo tra la natura e il protagonista e sceglie l’amico Eddie Vedder per il toccante commento sonoro di rock rurale e da viaggio. Quella del leader dei Pearl Jam non è solo una soundtrack, è invece un elemento centrale delle “terre selvagge”. Le sue lyrics che scorrono in sovra-impressione mentre Alex dorme all’interno di un carro merci che scorre via nella notte, i suoi ululati che imitano quelli dei lupi, le riflessioni sulla società veloce e senza pietà (“Società, così folle, spero non ti sentirai sola senza di me”), valgono un punto in più nelle già altissime valutazioni di questo film panoramico. Un film che fino all’ultimo fotogramma, fino all’ultima scena (con una vera polaroid del vero Chris McCandless), fino all’ultimo centimetro di pellicola, suggerisce una riflessione sulla vita: che costo ha la libertà? Vale la pena di fuggire per ottenerla? Di quante vite ogni uomo può disporre pur di averla?


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