Intervista a Tullio De Piscopo

Ha suonato con grandi nomi della musica del calibro di Ray Charles, Barry White, Severino Gazzelloni, James Senese, Giorgio Gaslini. Il “batterista metropolitano” – come egli stesso si definisce – Tullio De Piscopo – ha la napoletanità che gli scorre nelle vene e un’affabilità tipicamente mediterranea.

Quali esperienze l’hanno formata?
L’esperienza più importante è stata la strada, doversi arrangiare, farsi ascoltare e gridare se non ti ascoltano. Mio padre, che mi ha dato un grande insegnamento di onestà, era un uomo tutto di un pezzo: era musicista, diplomato in trombone, suonava in una banda, poi non potendolo più suonare si mise alla batteria, diventando il più grande batterista della storia napoletana. Anche mio fratello Romeo mi è stato di grande insegnamento, era batterista ed è morto mentre la suonava, all’età di 20 anni. Tutti hanno detto che era un genio, soprattutto Enzo Restuccia, batterista della Rai, allievo di mio fratello. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto pensando a lui, sicuramente lui lo avrebbe fatto meglio di me.

Cosa ha contribuito al suo successo ?
Quando io credevo di essere diventato importantissimo sullo strumento, ho avuto riscontri da traditori. Così mi sono messo a cantare, sfondando con “Andamento lento”. Allora non avevo neanche la casa e mi ricordo che l’ho comprata con i soldi che ho guadagnato, pagandola in contanti. Ma secondo me è anche questione di faccia, di credibilità. Quando io andai a Sanremo a cantare per la prima volta, avevo già suonato con grandi musicisti, quindi la gente mi conosceva già.

Tra le collaborazioni con i musicisti qual è quella che ricorda di più ?
Astor Piazzolla, poi Pino Daniele e il nostro gruppo di napoletani, Gerry Mulligan, con cui ho fatto bei dischi e suonato per cinque anni. Da ognuno di loro ho ricevuto qualcosa, di bello o di brutto, ne ho fatto un bagaglio personale da portare dietro per tutta la vita.

Cosa ricorda della tournée con Piazzolla?
Le liti  Piazzola – Mulligan. Loro due non andavano d’accordo e venivano da me per sistemare la situazione rovente

C’è anche un po’ di cattiveria in questo campo?
Sì, io all’inizio ho avuto calci in bocca da tutti, perché ero l’unico meridionale che doveva sfondare, io mi ero messo in testa che dovevo diventare il re di Milano, città che mi ha respinto per ben due volte.
Alla pensione dove volevo andare dormire non mi accettarono perché non avevo i documenti e la Polizia mi mandò a casa col foglio di via, a 14 anni. Un’altra volta mi protestarono.

Rifarebbe tutto quello che ha fatto dagli inizi a oggi?
Non tutto. Ho fatto parecchi errori di vendetta, mi sono vendicato su quello che mi avevano fatto. Ma oggi non lo rifarei.


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