Domenico D'Antonio è il papà di un bambino disabile che deve frequentare la seconda media all'istituto Leopardi di Catania. «Oggi mi ha chiesto: perché i miei fratelli vanno a scuola e io no?». Attraverso una lettera ha invitato il premier Renzi e il sindaco Bianco a spiegarglielo. Mancano, infatti, gli assistenti igienico-sanitari. «Come gli anni scorsi, il Comune ritarda la nomina e se ne parlerà a Natale. Mi accamperò in strada per far valere il diritto di mio figlio»
«Inizia la scuola, non per mio figlio disabile» Il Comune non pensa all’assistenza sanitaria
«Oggi mio figlio mi ha chiesto: perché i miei fratelli vanno a scuola e io no?». Per Domenico D’Antonio è stato difficile rispondere. La prima campanella dell’anno non suona infatti per tutti. Salvo (nome di fantasia) deve frequentare la seconda media della scuola Leopardi di Catania, ma è disabile dalla nascita. Avrebbe diritto all’insegnante di sostegno e all’assistenza igienico sanitaria. La prima, a carico del ministero, c’è. Alla seconda dovrebbe pensare il Comune, ma non è stata ancora nominata. «L’anno scorso è arrivata a novembre, quest’anno non hanno ancora approvato il bilancio, poi dovranno dare l’incarico a una cooperativa contro cui, puntualmente, le ditte perdenti faranno ricorso bloccando tutto – spiega D’Antonio – Temo che prima di Natale la situazione non si sbloccherà e mio figlio salterà tre mesi di lezioni. Eppure andare a scuola è un suo diritto e per me, genitore, è un dovere mandarglielo. A questo punto sono pronto ad autodenunciarmi e ad accamparmi con una tenda davanti all’istituto».
Per sollevare l’attenzione su questa situazione, comune a decine di bambini disabili che frequentano le scuole catanesi, D’Antonio ha scritto una lettera al presidente del consiglio Matteo Renzi, che oggi inaugura l’anno scolastico alla scuola padre Pino Puglisi di Brancaccio, al ministero dell’Istruzione Stefania Giannini e al sindaco Enzo Bianco. «Mi chiedo cosa dovrò dire a mio figlio quando i suoi fratelli, con lo zaino in spalla, andranno e lui rimarrà a casa – si legge nella missiva – Continuo a chiedermi se questa è la società che vogliamo costruire, anche attraverso la scuola. Una società “che non tiene il passo dello zoppo e del cieco, dell’orfano e della vedova, dell’anziano e della partoriente, non è una società, ma una accozzaglia di persone”, dice don Oreste Benzi. Questo il nostro sindaco e il nostro presidente del consiglio lo sanno? Li invito entrambi alla scuola Leopardi di Catania, prendiamoci un gelato insieme, offro io. Poi spiegheranno loro a lui perché non può andare a scuola».
La battaglia di D’Antonio – sostenuta dalla fondazione socioassistenziale Ebbene – va oltre la sua situazione personale. Tende una mano a tutti i papà e alle mamme che si trovano ad affrontare le stesse difficoltà. «A me non importa che Bianco, di fronte a una mia azione eclatante, soddisfi la mia richiesta. Sono tutti i bambini disabili catanesi che hanno diritto all’assistenza». La figura mancante è quella che si occupa di garantire la pulizia personale dei minori, di accompagnarli nei servizi igienici, di cambiarli. «Potrei mandarlo a scuola, ma dovrei rimanere nei paraggi perché da un momento all’altro possono chiamarmi per andare a cambiare il pannolino. Io però lavoro alle Ferrovie e mia moglie, casalinga, deve pensare anche agli altre tre bambini».
La normativa prevede che, nei casi di emergenza, l’istituto scolastico disponga di un collaboratore scolastico abilitato, con una competenza specifica, frutto di un corso di formazione. «Fino a due anni fa, la scuola Leopardi disponeva di questa figura, ma da quando è andata in pensione non è stata sostituita», spiega D’Antonio. «Mio figlio vorrà andare a scuola a riabbracciare i sui compagni e i sui splendidi insegnanti, con cui ha costruito relazioni umane ed educative stupende. Ma per lui, e per gli altri ragazzi come lui, non c’è posto», scrive nella lettera.
D’Antonio è pronto a intraprendere una causa legale contro il Comune. «E’ un calvario ormai noto che va avanti ormai da troppi anni – conclude – Farò di tutto per far rispettare i diritti di mio figlio, anche accamparmi davanti alla scuola».