Nel dicembre 2012 sei associazioni hanno firmato un esposto nel quale hanno sollevato dei dubbi sulla costruzione della nuova darsena del porto di Catania. Da quella denuncia presentata tre anni fa, è scaturita l’indagine sulla fase di progettazione dell’opera e per la quale adesso sono indagate cinque persone. «La verità su questa triste, ennesima, vicenda di scempio e di affari è quindi affidata ai giudici», scrivono in una nota congiunta CittàInsieme, comitato Porto del sole, forum nazionale Salviamo il paesaggio, Libera, Lipu e Wwf.
«Nell’esposto si evidenziava come i valutatori avessero omesso l’esistenza di circa 200 metri del corso del torrente Acquicella, cioè di quel braccio che correva in parallelo alla battigia in direzione nord – ricostruiscono gli attivisti – Il risultato è stato che la darsena è stata costruita proprio là dove prima scorreva il torrente». Nel mirino della procura sono finiti «i tecnici che hanno redatto la Valutazione d’impatto ambientale secondo la quale la costruzione della nuova darsena del porto di Catania non avrebbe avuto alcun impatto ambientale negativo», ricordano i componenti delle associazioni. I quali hanno presentato l’esposto «quando i lavori non erano ancora iniziati», sottolineano. Sono indagati per interventi illeciti in una zona sottoposta a vincolo ambientale Riccardo Acernese (attuale presidente del consiglio di amministrazione di Tecnis) e Pietro Viviano (direttore dei lavori per l’Autorità portuale, committente dell’opera). Con loro anche i professionisti romani Franco Persio Bocchetto, Giuseppe Marfoli e Maria Cristina Pedri. Sugli ultimi tre, in concorso tra loro, pende inoltre l’accusa di falso ideologico.
L’opera è stata terminata la scorsa estate e battezzata dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Qualche settimana fa è stato registrato il cedimento di 700 metri quadrati di calcestruzzo e quasi contemporaneamente si è conclusa la prima fase di indagini, come anticipato da MeridioNews. «La verità su questa triste, ennesima, vicenda di scempio e di affari è quindi adesso affidata ai giudici». E concludono: «Ci auguriamo che l’aver realizzato un progetto da quasi 100 milioni di euro sul letto di un torrente, in palese contrasto con le norme di tutela dell’ambiente e con la stabilità delle opere, con il danno irreversibilmente che ne è ormai derivato, serva di lezione affinché la tempestività negli interventi di denunzia e di controllo entri finalmente negli usi della nostra comunità».
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