Le opere del collettivo Cracking Art saranno esposte a Palermo fino al 10 luglio. Il movimento nato all'inizio degli anni 90' lancia un messaggio di rigenerazione e sostenibilità. «Riconsegnare al mondo un elemento visto come inerte», afferma un autore
In Sicilia arriva il movimento che trasforma la plastica in arte «Diamo vita a un materiale associato a un simbolo di morte»
Si parte dalla natura per poi farci ritorno: un ciclo che si chiude passando attraverso la bellezza. È uno dei tanti messaggi lanciati da Cracking art, movimento artistico nato nel 1993 che ha già fatto conoscere le proprie opere d’arte con 450 installazioni in trecento città del mondo. Si tratta di gigantesche sculture di animali – tra cui chiocciole, gatti, elefanti, tartarughe e pinguini – realizzati con la plastica riciclata e colorata. Ispirato alla Popart, il movimento si fonda sulla rigenerazione: concetto che vede il riutilizzo di un materiale, la plastica, che porta con sé lo stigma di essere difficilmente degradabile e, dunque, diventato icona di inquinamento ambientale. Alla riscoperta del materiale in senso artistico, Cracking art vuole conferire nuova linfa ai luoghi in cui le opere vengono esposte. Le sculture dominano paesaggi, strutture architettoniche e giardini, con l’obiettivo di far interagire chi le ammira.
Le mega-sculture il 10 maggio sono arrivate anche in Sicilia. Ad accoglierle, fino al prossimo 10 luglio,saranno i giardini di Villa Malfitano e Villa Trabia, a Palermo. Le Stories, come le hanno intitolate gli artisti, trasformeranno gli spazi verdi in vere e proprie gallerie d’arte. A realizzare la mostra è stata la Fondazione Terzo pilastro insieme alla Fondazione Cultura e Arte, con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, in collaborazione con la Fondazione G. Whitaker e al patrocinio del Comune di Palermo. A illustrare il movimento e da dove tutto prende origine è Kicco, uno degli artisti che fa parte del collettivo Cracking art. «La nostra è una storia abbastanza lunga – spiega ai microfoni di FantaMagazine su Radio Fantastica – Abbiamo iniziato quando, all’inizio degli anni Novanta, si cominciava a percepire che la plastica sarebbe stata un problema per il futuro e per l’ambiente. Così abbiamo deciso di dare della poesia a un materiale che appare come inerte e monouso: siamo abituati a utilizzare gli oggetti in plastica per poi buttarli via. Noi, al contrario, abbiamo voluto dare l’idea che il materiale può essere prezioso: è facilmente malleabile e può creare bellezza».
Lo scopo di ogni opera è quello di mettere in luce la stretta relazione tra realtà naturale e artificiale. La plastica, triturata e rimodellata, nasce proprio da un procedimento di trasformazione che si chiama cracking, attraverso cui si converte il petrolio in natta semplice: un passaggio che vede l’evoluzione dell’elemento naturale in artificiale, da organico in sintetico. «La plastica deriva dal petrolio, che a sua volta deriva dalla natura – prosegue l’artista – Un ritorno alla natura, quindi, per un materiale che in realtà è stato una scoperta importantissima. I polimeri sono stati scoperti proprio da un italiano. In genere è conosciuta solo per alcuni usi che ne facciamo nel quotidiano, ma viene utilizzata in diversi campi, è economica e facile utilizzare proprio per la sua alta plasmabilità totale. Attraverso le opere, emerge quanto sia importante il riciclo, ma soprattutto abbiamo voluto dare valore a un materiale spesso associato a un simbolo di morte». Negli ultimi anni le esposizioni delle sculture ha abbellito ambientazioni pubbliche e private negli Stati Uniti, al Cile, passando dalla Svizzera, fino alla, Repubblica Ceca e Russia per finire in oriente: a Dubai e in Cina.
Protagonista delle Stories anche l’Italia, dove si sono inserite in armonia in luoghi come la Reggia di Caserta, la Cava Burgazzi (Brescia), e dominato una parte dei navigli di Milano. Le opere hanno un prezzo accessibile, così da essere fruite e ammirate da tutti. «Facciamo in modo che queste sculture possano fare entrare in contatto le persone – conclude Kicco – E che possano lanciare un messaggio chiaro. Per esempio, abbiamo voluto realizzare delle tartarughe che abbiamo esposto nel 2001 alla Biennale di Venezia. Eravamo sull’Adriatico e ci è sembrato naturale realizzare un simbolo che non soltanto possa essere di unione tra i Paesi del Mediterraneo, ma era anche un messaggio che invitava a non abbandonare la plastica in mare, a fare attenzione perché abbandonata indiscriminatamente va a finire che ritorna e ci invade. Per questo motivo le opere assumono ogni volta un significato diverso, in base al contesto in cui si trovano». La rigenerazione tracciata dai Cracker sta anche nel devolvere i ricavati di alcune opere d’arte nel restauro e conservazione dei beni culturali.