In bici sulle ferrovie dismesse siciliane Domenica al via l’Alcantara bike tour

C’è una Sicilia nascosta e in parte dimenticata. Lontana dalla confusione delle città, che conserva tracce sorprendenti della nostra storia recente. Percorsi ferrati su cui, fino al secondo dopoguerra, viaggiavano i treni che portavano i minatori verso le solfatare della provincia di Enna o che attraversavano le antiche tenute di Ferdinando IV di Borbone nel bosco di Ficuzza, nel Palermitano. E che oggi vengono rivisitati come piste ciclabili. Nella nostra regione sono quasi 800 i chilometri di ferrovie dismesse. «Cinquecento – calcola Roberto Greco, presidente dell’associazione Etna free bike – sono potenzialmente utilizzabili dai ciclisti, ma di questi solo 200-250 vengono realmente fruiti».

C’è un mondo di appassionati che si muove alla scoperta di questi percorsi nascosti. Etna free bike nasce a Catania nel 1989. È il primo club di mountain bike della Sicilia e uno dei primi del Sud Italia. Da qualche anno aderisce al progetto nazionale Ferrovie dimenticate ed è entrato nella rete del Bike tour delle vecchie ferrovie. «Dal 1990 andiamo alla scoperta delle tratte ferroviarie siciliane dismesse – spiega Greco – per noi non è una moda, ma un modo di vivere, di salvaguardare la composizione architettonica-paesaggistica del nostro territorio, mantenendo intatti ponti e stazioni». Domenica prossima, 2 settembre, andrà in scena l’Alcantara bike tour, una passeggiata da Linguaglossa a Calatabiano, che comprende un lungo tratto di ferrovia dismessa: sette chilometri dalla partenza a Castiglione e poi ancora fino a Rovittello. Quindi si uscirà dal vecchio percorso ferrato per entrare nella valle dell’Alcantara e concludere a mare, sulla spiaggia di San Marco a Calatabiano. Per l’edizione dell’anno scorso sono arrivati in 400, anche da Germania, Stati Uniti, Olanda e Inghilterra. «È un percorso rigorosamente per mountain bike, e non per bici ibride o da corsa – precisa Greco – Non ci sono fatiche particolari, ma serve una certa padronanza del mezzo, ad esempio nei tratti dove si guada il fiume. Per questo abbiamo posto come limite di età otto anni, ma i minori devono comunque essere accompagnati dai genitori».

La provincia di Enna, con le sue miniere di zolfo, è un’altra meta ambita dagli appassionati di questo genere di passeggiate. La Dittaino-Assoro-Leonforte è probabilmente la più famosa tra le ferrovie dismesse siciliane. Qui, il 4 marzo, giornata nazionale delle ferrovie dimenticate, si tiene il più importante evento dell’Isola con centinaia di partecipanti. «Si tratta di una quindicina di chilometri – spiega il presidente di Etna Free Bike – ma molto intervallati». È questo uno dei limiti principali delle tratte siciliane. Esistono piccoli segmenti, lunghi poche decine di chilometri. «Lì vicino, ad esempio – continua Greco – c’è anche la Dittaino-Piazza Armerina-Caltagirone. In totale venti chilometri, anche se molti altri sono stati inghiottiti dai terreni limitrofi o sono soggetti a crolli». Spostandoci nelle province sudorientali, troviamo la vecchia Siracusa-Ragusa-Vizzini, rimasta inutilizzata dal secondo dopoguerra, che attraversa la valle dell’Anapo. «Un percorso importantissimo dal punto di vista paesaggistico che passa dentro l’area protetta di Pantalica, i luoghi di Verga e l’altopiano ibleo ragusano», spiega Greco. Oggi di quel percorso sono percorribili in bici 18 chilometri all’interno della riserva di Pantalica, previa autorizzazione. E un’altra cinquantina vicino Ragusa, tra Cassaro-Ferla e la vecchia stazione di Chiaramonte Gulfi, che è stata trasformata in albergo.

Altri due percorsi ferrati utilizzati dai ciclisti sono quello del bosco di Ficuzza, nel comune di Marineo, provincia di Palermo, dove sorge il palazzo di Ferdinando IV di Borbone che elesse quei luoghi come residenza estiva, e la tratta di 15 chilometri che va dal monumento dei caduti di Siracusa fino alle porte di Priolo. «Quest’ultima in particolare – sottolinea Greco – è molto usata dai cittadini». Cosa che invece non avviene altrove, soprattutto per mancanza di informazione. Non esiste infatti un sito che permetta ai turisti o agli appassionati di avere una mappa completa dei percorsi. Mancano le indicazioni necessarie per un’organizzazione fai da te. Non resta quindi che affidarsi alle associazioni come Etna free bike. «Anche le istituzioni sono piuttosto lassiste – conclude Greco – spesso si rimpallano la responsabilità, ma servirebbero enti super partes, ad esempio le province regionali o gli enti parchi, che si prendano l’onere della manutenzione, come avviene in Veneto o in Friuli».

Salvo Catalano

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