Si è concluso il Festival del Cinema di Taormina. Gli inviati di Step1 hanno seguito i film, gli eventi e soprattutto le "lezioni di cinema", riservate agli studenti. Parliamo dellincontro con Beppe Fiorello
Impegno e genuinità, la lezione di Beppe
Un altro capitolo è stato scritto nella storia del Festival del Cinema di Taormina. Conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, seppure le varie edizioni non siano state sempre contrassegnate da toni alti, sembra avere le carte in regola per delineare la sua identità e per lavorare in modo sempre più originale.
Deborah Young, direttore artistico, ha raccolto la sfida già dall’anno scorso, anche se la promessa di presentare una retrospettiva ad ogni edizione (otto film di Tornatore per il 2007) non è stata mantenuta. Presenti, invece, il concorso “Mediterranea”, “Oltre il Mediterraneo”, i “Corti Siciliani” e il focus, stavolta sulla cinematografia turca; lunedì è stata la volta anche di due capolavori restaurati: Il Padrino e Toby Dammit e della presentazione del Campus Taormina – Intel. Sul versante artistico, ad aprire le attese lezioni di cinema nell’ambito delle Master Classes è stato Beppe Fiorello.
Dalle sue labbra parole passionali per la sua isola (insieme all’accento siculo che lo rende ancor più seducente – in molte a dirlo) e dai suoi occhi la trasparenza di una profondità di attore maturo ma anche la spontaneità e semplicità di quando era ancora chiamato Fiorellino. Caratteristiche che per fortuna non hanno abbandonato Beppe Fiorello, il quale sembra condividere alcuni tratti caratteriali dei suoi personaggi: la professionalità e l’umanità di Giuseppe Moscati, il coraggio di Joe Petrosino, la tenacia di Pietro Campagna… Testimoni di un passato che non deve essere cancellato dalla memoria storica.
Come Graziella Campagna, la cui storia è raccontata nel film per la tv “La vita rubata” di Graziano Diana e proiettato al FilmFest: una ragazza di appena 17 anni, assassinata dalla mafia nel 1985, le cui uniche colpe furono quelle di lavorare in una lavanderia, attività di copertura per traffici criminali, e di trovare in una giacca la carta d’identità di un latitante.
Il fratello carabiniere, Pietro, che nel film ha il volto di Fiorello, andando avanti nelle indagini in modo instancabile, portò nel 2004 alla condanna degli assassini della sorella. “Proprio ieri – dice Fiorello – è stata depositata la sentenza”. “Io scelgo certe storie da raccontare – ci confida in modo schietto –anche perché vorrei lasciare una buona eredità, un buon ricordo di me”. “Beppe non è soltanto bravo, ha doti umane molto belle ed è genuinamente creativo”, ha scritto il regista Diana in un messaggio letto in sala dalla moderatrice Mimma Nocelli.
Fiorello si concede una “critica costruttiva” verso se stesso e i suoi colleghi, facendo una breve carrellata sul cinema d’autore in genere e su quello italiano (apprezza molto Sorrentino, Garrone e Crialese), lasciando in un angolo quello “spettacolare” degli americani. Uomo e attore riflessivo nei suoi discorsi, a tratti ironico (“Ora vorrei anche riavvicinarmi al genere commedia in cui ho mosso i primi passi”)… Dote di famiglia, come ci spiega lui stesso: “Mio padre Nicola era un intrattenitore nato, carismatico e… ”. E conosciamo qualcun altro con gli stessi geni.
Ma capita anche di chiedersi “Il successo cambia l’uomo?” La risposta per quanto lo riguarda è no. I valori che racconta nei suoi film li ha messi in pratica, senza farsi prendere dai vizi di una vita da divo: “Sono un tipo tranquillo, adoro i miei personaggi, li studio attentamente per poterli impersonare al meglio, ma riesco a staccarmene poco dopo che finisco di girare. È doveroso perché la sera torno a casa e faccio il papà”.
E i bimbi che dicono di te?
“Sono contenti, io dico loro che racconto storie”.
Moderatrice: “Quando hai iniziato a raccontarle con i film e a capire che questo sarebbe stato il tuo mestiere?”.
“Da ragazzo mi piaceva vivere le storie e non vederle al cinema. Ho iniziato a lavorare come elettricista in un villaggio turistico, puntavo con l’occhio di bue gli attori e a forza di guardarli ho imparato a recitare, ma volevo fare anche il discografico, cantavo, ho inciso un cd… Infine arrivò il provino con Marco Risi per “L’ultimo capodanno”. Il ruolo fu mio, e da allora tutto un crescendo. Mi notò Verdone e altri. Poi tanta televisione”.
“Allora le scuole di recitazione non le hai frequentate?”
“La tecnica mi avrebbe contaminato, preferivo lasciarmi andare alla spontaneità. C’è chi si affida ai metodi, alle scuole americane o italiane. Gassman ha sempre usato un metodo, per citare un grande, e per citarne un altro Mastroianni non ne seguiva, ma il suo stile era lo stesso di una grandiosa semplicità. A volte capita che qualche attore mi faccia pesare il non aver frequentato una scuola di cinema, ma la gente apprezza la mia recitazione che parte dal cuore. A me basta. E poi in realtà studio e imparo sui set, ultimamente in Tunisia con Tornatore”.
Infine gli viene chiesto se preferisce che un regista lo guidi molto oppure no. E lui risponde, schietto: “Si vede durante le riprese perché dipende dal rapporto che si instaura col regista, dipende dalle storie che vengono raccontate. Comunque sintonia ideale con Graziano Diana, che con “La vita rubata” era alla sua opera prima”.
In coda partono i consigli diretti ai giovani. “Se volete fare questo lavoro intanto andate a Roma, la cinematografia è là. E soprattutto andate alla ricerca della professionalità e non della fama. Quella viene dopo, se succede il contrario vi potrebbe schiacciare”.