Il “Vitalizio” e gli scherzi della morte

Titolo: Il Vitalizio

Autore: Luigi Pirandello

Adattamento: Andrea Camilleri

Regia: Walter Manfrè

Scene: Giuseppe Andolfo

Costumi: Francesca Cannavò

Interpreti: Riccardo Garrone, Giuseppe Scarcella, Franz Cantalupo, Giampaolo Romania, Massimo Leggio, Barbara Gallo, Valentina Ferrante

Produzione: Teatro Stabile di Messina e Catania

Teatro Verga dal 5 al 24 giugno 2007

Sapete cos’è un vitalizio? Si tratta di un impegno da parte del debitore di corrispondere una certa rendita (somma di denaro o certe quantità di cose fungibili) finché dura la vita del beneficiario o di un’altra persona (se costituita a favore di più persone, la parte spettante al creditore va a favore delle altre persone, salvo patto contrario). Qualora il beneficiario dovesse vivere molto a lungo il debitore rischierebbe di corrispondere il reddito più del suo valore reale. Tutto questo secondo la legge.

Questa è la storia dei personaggi protagonisti della novella di Pirandello Il Vitalizio, felicemente adattata per il teatro dall’ingegno di Andrea Camilleri, per la regia di Walter Manfrè. Il racconto narra, infatti, di un ricco commerciante di stoffe, Michelangelo Scinè (Franz Cantalupo), che vuole diventare proprietario terriero acquisendo più terreni possibili nella zona dell’agrigentino. Egli, già molto avido per carattere, non volendo spendere molto denaro, escogiterà il metodo di individuare i piccoli e poveri proprietari delle masserie della zona che, per motivi anagrafici e di salute, sembrino avere pochi giorni ormai da vivere. L’affare gli andrà bene con il vecchio Ciuzzo Pace (Giuseppe Scarcella), che morirà dopo pochi mesi dalla stipula del vitalizio. Tuttavia l’avaro commerciante dovrà fare i conti con la longevità del vecchio Zù Marà, il signor Maràbito (Riccardo Garrone) che si manterrà in vita fino all’età di cento anni e più, seppellendo sia Scinè, morto probabilmente per una fattura, sia il suo nuovo debitore, il notaio Nocio Zagara (Massimo Leggio), che prenderà il posto del ricco commerciante dopo la sua morte.

È un’altra storia che parla dell’imprevedibilità della morte, una sorta di gioco alla rovescia, in cui la rovina di un uomo corrisponde alla fortuna dell’altro che sopravvive. Questo è il caso del vecchio Zù Marà, che non si aspetterà di vivere così a lungo, tanto che alla fine della commedia, dopo che avrà compiuto più di cento anni, egli si rivolgerà alla morte, invocandola. Ma lei non ne vorrà sentire e lo eviterà ancora una volta. Anche questa paradossale situazione giustifica un po’ l’intento dell’autore che vuole la morte al centro di tutta la narrazione, una protagonista inaspettata dal pubblico, dotata di una grande imprevedibilità che la rende quasi più bramosa del ricco signor Scinè.

La trasposizione molto semplice delle azioni e dei dialoghi dei personaggi, corrisponde anche all’essenzialità della scena, molto povera già di per sé, così come gli sfondi che fanno da background alla commedia. Ora un albero di ulivo ci ricorda che ci troviamo nei pressi della terra di Zù Marà; ora un tavolo cesellato, con una bella sedia richiama alla mente dello spettatore lo studio di un facoltoso notaio, quello di Nocio Zagara; in ultimo due piccole costruzioni, che si muovono su di un nastro scorrevole, si congiungono per comporre la casa del vecchio signor Maràbito ed anche tutto il vicinato, che viene evidentemente immaginato dal pubblico.

Unica nota un po’ stonata, in tutti i sensi, la non perfetta parlata siciliana dei protagonisti della commedia. Se, infatti, escludiamo il buon Gricòli (Giampaolo Romania), tutti gli altri attori, soprattutto il bravo Garrone, non sono riusciti ad esprimere il linguaggio che Pirandello aveva auspicato. Il siciliano parlato da attori non siciliani, come in questo caso, molto spesso non riesce ad entrare nell’anima dello spettatore, che anche se recepisce il messaggio, si sente mancare qualcosa di essenziale per la completa ricezione del pensiero dell’autore.

Si è trattato, oltretutto, di una sorta di musical, ogni qual volta le azioni e i dialoghi si sono interrotti per dare vita ad alcuni cori, come ad esempio avveniva nelle commedie shakespeariane, o a dei balletti e dei riti propiziatori, come nel caso della fattura organizzata dalla comari del vicinato per salvare la vita di Zù Marà, affetto da una febbre insopportabile, ma anche per richiamare il malocchio ai danni dell’avido Michelangelo Scinè.

La metamorfosi, per l’occasione, della novella di Pirandello, adattata ad opera teatrale da Andrea Camilleri, vuole rappresentare un ulteriore invito a pescare dentro l’ampio mare della narrativa isolana, in modo da poter trarre nuovi possibili modelli di grande drammaturgia. Le tante novelle pirandelliane, a tal proposito, si prestano a questo procedimento e probabilmente nel tempo potranno trovare una maggiore diffusione elaborate sotto forma drammaturgica, oltre che narrativa.


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