Il ritorno di Totò Cuffaro e della Democrazia cristiana «Musumeci? È di destra, lasci stare praterie centriste»

«Come un allenatore». Così si definisce Totò Cuffaro, pochi giorni dopo la nomina a commissario regionale della Democrazia Cristiana. Non una qualsiasi, bensì quella che – con tanto di logo e nome a prova di sentenze di Cassazione – rivendica l’eredità della Balena bianca, tramortita da Tangentopoli e tramontata insieme alla Prima repubblica. Che non possa scendere più in campo lo dice lui – «anche potendolo fare, non lo farei» – ma soprattutto i tribunali che, alla condanna definitiva da qualche anno scontata per favoreggiamento di Cosa nostra, hanno fatto seguire l’incandidabilità. Ma pur da allenatore, Cuffaro è convinto di poter dare l’impronta. Diventando una sorta di Special One della politica. D’altra parte, la sua storia, qualcosa di speciale, ce l’ha.

Cuffaro, come sta? Di questi tempi non è una domanda retorica.
«Bene, sto tornando (ieri, ndr) dalla mia azienda agricola a San Michele di Ganzaria (Catania) e vado a Raffadali (nell’Agrigentino), al cimitero, a trovare mio padre».

Tra le 13 etichette di vino, la produzione di olio e di fichidindia, chi glielo fa fare a tornare in politica?
«Ma io non sto tornando in politica, non potrei neanche farlo. Sono incandidabile. Però, non mi rassegno a vedere morire un partito in cui ho creduto per una vita intera. Vederlo morire in un’epoca in cui imperversano partiti senza storia e ideali. Ecco, mi sono chiesto se non sia un peccato non far nulla quando qualcosa si può fare».

La nomina a commissario della Dc che effetto le fa? E a proposito: questa è la vera Democrazia cristiana? In questi anni ne sono apparse tante.
«È quella che ritiene di esserne l’erede. Poi, quale sia quella vera lo sceglieranno gli elettori. Noi abbiamo lo scudo crociato, la scritta Libertas e soprattutto la voglia di difendere una storia e dei valori».

Decio Terrana, il coordinatore dell’Udc in Sicilia, ha detto letteralmente che «la politica è ormai un’altra cosa rispetto a Totò Cuffaro», se bisogna ripartire da lei tanto vale restare a casa.
«Neanche ho risposto a quella nota di Terrana. Però, ha ragione sul fatto che la politica di oggi è una cosa diversa rispetto a quella in cui credo io. Oggi viviamo l’anomalia di essere un Paese di moderati governato da partiti populisti, mentre sono gli ideali a tenere vive le passioni. Grillini e leghisti sono accomunati dal non avere ideologia».

E il Pd?
«Il caso dei Ds è una cosa diversa».

I Ds? Allora la nostalgia non è solo per la Democrazia cristiana.
«Beh sì, il Pd, volevo dire il Pd non è populista ma mi viene difficile definirlo un partito ideologizzato. Quand’ero giovane litigavo con i giovani della Fgci (Federazione Giovanile Comunista Italiana, ndr) perché io ero sturziano, tra loro c’era chi era gramsciano, chi togliattiano. Insomma, si ragionava di ideali. Oggi il Pd mi sembra parli più di Sturzo che di Gramsci. Quindi, o ha cambiato ideologia oppure non so. Però resta un partito strutturato, quello sì».

A proposito di ideali: un altro che ne ha sempre avuti è Nello Musumeci. Tra l’altro, neanche troppo tempo fa ha parlato di praterie centriste.
«Se ricordo bene, il suo ideale è di destra. Che possa esserci una manovra per accreditarsi al centro, lo capisco da un punto di vista pragmatico, ma non idealmente. Non è che uno decide di passare al centro e diventa moderato. Musumeci rimane di destra ed è giusto che ognuno custodisca la propria storia. Poi, se non riesce a dialogare con la Lega e Fratelli d’Italia è un altro discorso».

Ma come governatore come si sta comportando? Che ne pensa della gestione dell’emergenza Covid?
«Sul piano politico non do giudizi, però dico che la prima fase del Covid, in primavera, è stata gestita bene. Per quella attuale bisogna vedere, siamo ancora agli inizi».

Non crede, però, che si siano politicizzate anche queste misure? Un tempo sembra che si vogliano misure più rigide, poi si presenta un ddl per potere allentare le direttive di Roma.
«Secondo me Conte e i governatori, Musumeci compreso, dovrebbero sedersi per trovare misure condivise per tutta Italia, se no non se ne esce. Per il resto, se si vuole fare un gesto forte non si presenta un ddl, che magari sarà approvato fra tre mesi, ma si sceglie l’ordinanza. Il disegno di legge è un modo per prendere una decisione che, in realtà, non si vuole prendere».

Musumeci ha riaperto la porta all’ipotesi termovalorizzatori. Quindici anni fa, la massacrarono perché lei li voleva.
«E continuo a pensare che sarebbero stati la soluzione. Invece, abbiamo trasformato la Sicilia in un immondezzaio. Sono contento che con Musumeci siamo d’accordo almeno in una cosa. L’ho detto anche alla commissione Antimafia, la mafia aveva tutto l’interesse a non fare i termovalorizzatori. E mi pare che le inchieste della magistratura sulle discariche mi stiano dando ragione».

A proposito di mafia, ma lei dopo la condanna non aveva detto che sarebbe andato in Africa e che lasciava la politica?
«In Africa ci sono andato e ci tornerò, per adesso non mi fanno partire a causa del Covid. Per il resto, non potrò candidarmi ma credo sia giusto fare la mia parte da fuori. Ed è anche per questo che abbiamo fatto una scuola di formazione politica, mettendo insieme 250 ragazzi. Ne fanno parte professionisti, consiglieri comunali, avvocati, gente comune che ha voglia di imparare qualcosa. Per ora le lezioni sono solo online, ma poi bisognerà incontrarsi perché la principale materia di insegnamento è quella del sapere stare insieme».

A Catania c’è un processo che non la riguarda, ma da cui è emerso – lo dice in un’intercettazione uno degli imputati, Biagio Susinni – che lei, in vista delle Regionali 2017, era stato incaricato da Silvio Berlusconi di rimettere in sesto il centrodestra.
«Lo escludo e ho anche le prove. In quell’occasione mio fratello Silvio (attuale sindaco di Raffadali, ndr) avrebbe voluto candidarsi ma Forza Italia non gliel’ha concesso. Secondo lei, se avessi ricevuto un mandato di quel tipo da Berlusconi qualcosa non l’avrei fatta?».

Ma Biagio Susinni e Ascenzio Maesano pare venissero alle presentazioni del suo libro, perché interessati a parlare con lei della campagna elettorale.
«Venivano centinaia di persone. Ricordo di avere incontrato Susinni, ma non di averci parlato di politica. Maesano non lo ricordo, credo che l’ultima volta che l’ho visto è stato prima di entrare in galera». 

Chi?
«Io, io. Prima della condanna».

Di lei si dice che è uno dei pochi ad avere scontato l’intera condanna, senza usufruire di benefici particolari. Deve pesare molto un’esperienza di questo tipo.
«La mia condanna mi ha segnato. Ci sono tanti errori che ho commesso e che ammetto, ma resto convinto che abbia inciso anche la volontà di fermare l’ultimo democristiano rimasto. Infatti, tolto di torno il sottoscritto, il centro è sparito».

Era di nuovo in libertà da qualche anno, quando è scoppiato lo scandalo sul sistema Montante. Nelle carte dell’inchiesta si parla anche di finanziamenti occulti alla sua campagna elettorale. Borse piene di soldi.
«Ho querelato chi disse questa cosa dei soldi e lo stesso poi ha detto che non era vero. Montante, io lo conobbi perché era presidente di Confindustria e imprenditore. Di questa storia penso che mi hanno fatto passare per essere quello illegale, ma chi faceva queste orazioni contro di me, alla fine, si è scoperto essere di gran lunga più compromesso di me dal punto di vista dell’etica».

Ma fosse ancora presidente, come farebbe Totò Vasa-vasa con il Covid?
«Sarei stato di gran lunga depotenziato (ride, ndr). Possiamo serenamente dire che il Covid politicamente avrebbe avuto nei miei confronti lo stesso effetto della condanna. Mi avrebbe stroncato».


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