Fornire assistenza legale, psicologica, sociale e percorsi di reinserimento lavorativo. È l'obiettivo del progetto Oltre i confini, della cooperativa Prospettiva futuro, messo in atto in 23 istituti penitenziari di nove province. Tanti i ragazzi diventati scafisti per disperazione
Il progetto di recupero per detenuti stranieri in Sicilia «Molti non possono capire neanche i motivi del carcere»
La vita dopo il carcere per Fofana ha il sapore del riscatto e della libertà. «Il mio viaggio è iniziato dalla Guinea, da dove sono partito all’età di 16 anni», racconta. Giunto in Libia ma privo di soldi per la traversata, è costretto da un gruppo di trafficanti a mettersi in mare alla guida di un’imbarcazione con duecento persone. Nonostante l’inesperienza, raggiunge le coste siciliane ma ad Augusta viene arrestato con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Rilasciato dopo un mese di reclusione, entra in un percorso di recupero: svolge un tirocinio formativo alla lega navale di Catania e si iscrive all’istituto nautico. Oggi i suoi occhi sognano il mare. «Vorrei lavorare con le navi, ma ora la sfida più grande è prendere il diploma».
Fofana ce l’ha fatta. Ha ricominciato a sperare grazie al progetto Oltre i confini, finanziato da Fondazione per il Sud e realizzato dalla Cooperativa Prospettiva Futuro di Catania in collaborazione con una vasta rete di partner istituzionali e del sociale. «Molti detenuti stranieri, tra cui numerosi minori – spiega Domenico Palermo, coordinatore del progetto – vengono arrestati con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nell’immediatezza dello sbarco». Bollati come scafisti, perché al timone di imbarcazioni di fortuna, in realtà, «sono vittime innocenti della disperazione di arrivare in Italia a tutti costi». I trafficanti li reclutano tra gli stessi migranti che non dispongono del denaro per il viaggio. «È necessario – afferma – colpire i veri responsabili rivedendo la legislatura sul reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina».
Per i detenuti stranieri accusati di questo reato, privi di informazioni sulla normativa nazionale in materia di immigrazione, c’è il rischio per la propria incolumità nell’eventualità di un rimpatrio. Senza famiglie, mezzi linguistici e diritti, conducono in cella un’esistenza precaria ed emarginata. È da queste premesse che è stato avviato Oltre i confini. «L’obiettivo – sostiene Palermo – è quello di fornire agli stranieri, detenuti nelle strutture penitenziarie di tutta la Sicilia assistenza legale, psicologica e linguistica per favorire il loro accesso alle misure alternative di detenzione e a percorsi lavorativi di reinserimento sociale». In tre anni sono stati raggiunti 1203 detenuti di 26 nazionalità, provenienti in prevalenza da Tunisia, Egitto, Gambia, Nigeria, Mali, Senegal. Le attività hanno coinvolto 23 istituti penitenziari, nove centri per l’impiego e nove uffici di esecuzione penale esterna. «Circa 660 persone hanno fatto richiesta di incontrarci. Per ciascuno di loro è stato redatto un programma con la collaborazione del personale penitenziario che abbiamo formato perché privo di competenze specifiche sul trattamento di detenuti stranieri».
Dai colloqui individuali sono emerse le esigenze dei singoli ma anche le precarietà del sistema carcerario. «In primo luogo, in nessuno degli Istituti penitenziari della Sicilia operano mediatori culturali». In mancanza di queste figure professionali, diventa impossibile comunicare, ricevere informazioni sull’accesso alla protezione internazionale e sopperire alle esigenze quotidiane del carcere. «Per i richiedenti protezione internazionale, dato che gli uffici immigrazione non dispongono di personale per recarsi in carcere – confessa – abbiamo predisposto un modello di manifestazione di volontà che, sottoscritto da 101 detenuti, è stato inoltrato agli uffici immigrazione e alle commissioni territoriali competenti». Altre criticità riguardano la mancanza di indumenti per il cambio e la negazione del diritto di comunicazione telefonica con i familiari «anche dopo un anno e più di detenzione».
Difficoltà confermate dalle associazioni partner del progetto. «Numerosi detenuti – afferma Nino Battiato, psicologo e presidente della cooperativa sociale Golem di Valguarnera – non solo non conoscevano la ragione della detenzione perché non capivano l’italiano, ma non potevano contattare telefonicamente le famiglie o usufruire di vestiario». Per quanto riguarda il reinserimento lavorativo, attraverso il progetto sono stati attivati 16 tirocini all’interno o all’esterno del carcere. «La rete fattoria sociali di Sicilia ha individuato la mia cooperativa – racconta Claudia Cardillo responsabile dell’associazione Energ-etica – per far svolgere a un giovane albanese un tirocinio extra murario di sei mesi in una serra di Giarre. Asim aveva tanta voglia di integrarsi e andare avanti malgrado la dura esperienza del carcere che lo aveva segnato». «All’interno del progetto – aggiunge Battiato – abbiamo dato la possibilità ad un detenuto del Gambia di svolgere il tirocinio all’interno della casa circondariale di Enna e successivamente anche all’esterno dopo che è stato scagionato».
Tra le note dolenti evidenziate da Palermo c’è l’impossibilità per i detenuti di ottenere i documenti o richiedere il rinnovo durante la detenzione. «Nonostante l’impegno – dichiara – abbiamo incontrato molti stranieri che si sono visti negare il rinnovo del permesso di soggiorno e sono stati costretti a rimpatriare, anche dopo anni di contributi pagati all’Inps». La storia di Dionis somiglia a quella di tanti altri detenuti che rischiano l’espulsione sebbene abbiano intrapreso un percorso di reinserimento. «A che serve essere persone migliori – si domanda – se al termine della scarcerazione si viene espulsi senza alcuna possibilità di regolarizzare la propria situazione?». Il carcere l’ha cambiato. Adesso vuole solo lavorare e dimenticare gli sbagli passati. Tramite il progetto ha svolto un tirocinio in una fattoria didattica che si è trasformato in un contratto a tempo indeterminato. Lui e la moglie sognano una famiglia, ma per ora, in attesa della sentenza definitiva, vivono in un limbo. «Ho già pagato per il mio reato ma per lo Sato Italiano resto un criminale a vita», dice.
«Per la prima volta, con questo progetto – interviene Palermo – si dà voce ai detenuti stranieri, reclusi negli istituti penitenziari dell’isola, che sono soggetti vulnerabili perché non possono fruire di misure alternative. Vorremmo che Oltre i confini diventasse la prassi». Ma l’impegno dell’associazione è rivolto anche ai detenuti siciliani. «Lavoriamo da oltre vent’anni in sinergia con il ministero della Giustizia per portare tra i reclusi siciliani attività educative e progetti di recupero. Siamo attualmente presenti all’interno del carcere Bicocca a Catania. Rivolgiamo una particolare attenzione ai minori entrati nel circuito penale e ci occupiamo del loro reinserimento sociale perché meritano un futuro migliore», conclude.