Intervista ad Anthony Barbagallo, diventato segretario regionale del Partito democratico poche settimane prima l'affermazione nazionale sulla riforma costituzionale. «Stiamo lavorando per trovare un'alternativa valida alle destre», assicura
Il Pd riparte dalla vittoria al referendum e dal campo largo Barbagallo: «Siamo ritornati ad avere un ruolo centrale»
La vittoria del sì al referendum costituzionale, che segna anche il primo successo targato Pd-Movimento 5 stelle, gli orizzonti dell’alleanza con i grillini di Sicilia e le sorti del campo largo, ma anche il governo Musumeci, la pandemia e la situazione politica a Palermo e Catania. Anthony Barbagallo, segretario regionale del Partito democratico da appena due mesi, parla a tutto campo dei tanti tavoli che vedono la più grande forza politica del centrosinistra impegnata per un rilancio a livello nazionale, ma anche e soprattutto sul territorio e alla guida degli enti locali.
Partiamo dal risultato del referendum in Sicilia. Come lo interpreta?
«Lo vedo bene. Era nell’aria che i cittadini avessero intenzione di premiare il lavoro svolto in questi mesi a livello nazionale e così è stato».
Questo è il primo successo politico dell’asse Pd-M5s. Il risultato elettorale influirà sugli equilibri di governo?
«C’è un dialogo avviato nel campo largo che ha come comune denominatore quello di essere alternativa alle destre. Il ruolo del Partito democratico è diventato ancora più centrale dopo la tornata elettorale della scorsa settimana, con le vittorie al Sud: in Puglia e in Campania. Sta passando l’idea chiara di un governo nazionale che si impegna. Bisogna seguire questa strada, con misure come il recovery fund che ci porteranno a gestire in totale oltre 30 miliardi di euro, finanziamenti superiori al piano Marshall. Dovremo essere attenti a usarli nel modo migliore. Il nostro compito sarà quello di impegnare concretamente queste risorse e dare alle future generazioni un motivo per non emigrare».
Concentriamoci sulla Sicilia. Come giudica l’operato del governo Musumeci, che ha ormai compiuto il giro di boa di metà mandato?
«Finora hanno raccolto un bottino magrissimo. Siamo ormai quasi a tre anni dall’elezione e non solo non ci sono risultati dal punto di vista amministrativo, ma non c’è neanche un sondaggio che parli di fiducia dei cittadini nei confronti del governo Musumeci, che oscilla tra l’ultimo e il penultimo posto. Siamo particolarmente delusi da come il presidente ha gestito l’anno in corso: ha annunciato una finanziaria che doveva risollevare la Sicilia dopo il Covid e ancora oggi non c’è un siciliano che abbia percepito un solo euro. I bandi sono stati presentati in conferenza stampa il 16 settembre ed è una vergogna perché avrebbe dovuto farlo il 16 maggio. E anche sugli stessi bandi ci sarebbe molto da dire, ci saremmo aspettati aiuti a fondo perduto e invece sono soltanto dei prestiti per mezzo dell’Irfis. Anziché dare una mano ai siciliani gli chiediamo di indebitarsi ancora di più con dei bandi che gonfiano solo le casse dell’Irfis».
E sulla gestione della pandemia?
«A giugno Razza e Musumeci si sono accorti che i sondaggi erano peggiori di quanto si aspettassero. Questo perché si sarebbe dovuto spingere per un’apertura anche a giugno di strutture balneari, alberghi, ristoranti, un errore che è costato tanto ai siciliani. Così come ci ha lasciato molto perplessi la fornitura dei dispositivi di protezione individuale ai medici e al personale sanitario: li osanniamo come eroi e poi li trattiamo a pesci in faccia, con mascherine e altri dispositivi fondamentali arrivati in grosso ritardo».
Come vede invece la posizione del presidente della Regione sui migranti?
«Musumeci vuole fare il paio con Salvini e provare a lucrare consensi per nascondere le deficienze del suo governo».
Torniamo al territorio. C’è una città senza sindaco, Catania, su cui pesa anche una condanna della corte dei Conti per i bilanci della gestione Enzo Bianco.
«A Catania spero si alimenti e cresca ancora di più voglia di dire basta. La città è schiacciata sotto una cappa pesante, Pogliese continua a condizionarla con le sue vicende personali. Continua a far finta di nulla e addirittura dice che non si dimette per senso di responsabilità e che ha intenzione di ricandidarsi. Liberi la città da questi personalismi. A Catania il nostro compito è quello di lavorare per costruire una nuova classe dirigente, investendo sulle nuove generazioni e sulla parte migliore della città. Giovani, donne e uomini che possono costruire un’alternativa».
Mentre Palermo è alle prese con l’ultimo mandato di Orlando, che è sempre stato sì una macchina da voti, ma anche per demerito di chi non ha mai saputo trovare un’alternativa valida.
«Manca ancora molto alle elezioni a Palermo, ma anche qui gli effetti del campo largo si possono ripercuotere su tutto lo scenario politico. Sostituire Orlando non sarà facile, in politica non esistono imprese facili, ma nemmeno imprese impossibili».