Doppia intervista a Bill Emmott e Beppe Severgnini al Festival del Giornalismo di Perugia. Presentando i loro libri su Berlusconi e lipotetico dopo-Silvio, sè parlato della politica in Italia - una nazione con la memoria corta - e del ruolo dei media che, se non riescono ad essere il dobermann della democrazia, almeno potrebbero provare ad esserne il chihuahua
Il Paese dei pesci rossi
Beppe Severgnini e Bill Emmott insieme, in una doppia intervista reciproca, al Festival del giornalismo di Perugia, per presentare i loro libri, entambi dedicati alla politica italiana. Quello dell’editorialista del Corriere della Sera s’intitola “La pancia degli italiani” ed è un ritratto del Premier dedicato ai posteri, il secondo, scritto dall’ex direttore dell’Economist, “Forza, Italia!”, è un manuale di istruzioni dal titolo ironico ed ottimistico su come ripartire in un ipotetico post-Cavaliere. Severgnini e Emmott, amici e colleghi da molti anni, hanno dato vita ad un incontro piacevole e dai toni lievi, tra battute sarcastiche e critiche mirate, ma ricco di contenuti e spunti destinati al pubblico del Teatro del Pavone, gremito fino all’ultimo posto a sedere.
Introdotta da una breve presentazione del giornalista inglese conosciuto all’Economist, “che solo in Italia poteva essere chiamato Ecommunist”, Severgnini pone al collega, che adesso lavora in Italia come collaboratore del Corriere della Sera, la prima domanda: “La sinistra troverà un leader ed un programma serio e si rimetterà in piedi, Berlusconi troverà qualcun altro da mettere al suo posto o succederà qualcosa di imprevedibile per esempio che il Premier vada in Marocco, dato che lì c’ha una nipote?” chiede Severgnini. Per Emmott il berlusconismo non può durare per sempre: “Alla fine l’edificio si disgregherà da solo”.
Quando tocca a Emmott fare le domande la discussione si sposta sull’immagine di Berlusconi che circola fuori dall’Italia, uno “stereotipo dell’italiano estremo” che non è ben compreso neppure all’estero e chiede all’amico il perché di un libro che spiega agli italiani chi sia il Premier. “Berlusconi è un prodotto italiano, ma non è l’unica possibilità” risponde Severgnini. “È un rabdomante di debolezze umane, che usa per arrivare alla pancia della gente. Gli italiani non vedono l’ora di portare i propri difetti come medaglie, e lui lo ha capito. I leader hanno il coraggio dell’impopolarità, caratteristica che B. non ha mai avuto”. E aggiunge: “Così il Paese non cresce e siamo tutti tanti Bill Murray ne Il giorno della marmotta. Siamo una marmotta pelosissima che, conoscendolo (il Premier ndr), gli piacerebbe pure”. Subito dopo, la conversazione si sposta sulla seduzione che l’Italia esercita su un giornalista straniero. “L’Italia ha un ruolo da offrire agli osservatori stranieri”, risponde il giornalista, che, a suo dire, è stato definito impropriamente “l’antitaliano” dai giornali del Regno Unito. “Voglio essere ottimista. Credo che si possano fare tante cose in questo Paese, che si possano liberare tante energie”.
La successiva domanda dell’ex direttore dell’Economist si sposta sul futuro e su quale potrebbe essere l’eredità da lasciare ai nuovi politici del dopo Cavaliere. La risposta di Severgnini si concentra sulla democrazia e lascia poco spazio ai dubbi: “Se Berlusconi lasciasse, il primo passo politico improrogabile sarebbe fare una legge per impedire al Presidente del Consiglio di possedere una televisione e di controllarne un’altra”.
L’editorialista del Corriere sottolinea anche la necessità di instaurare un meccanismo di alleanza politica all’interno dell’opposizione, che, secondo lui, finora non c’è mai stata, e muove una critica anche all’identità del Pdl, concentrata esclusivamente nella figura di Berlusconi. “Se le cose restano così – ironizza – quando Berlusconi lascerà, il partito durerà dagli otto ai diciotto minuti”. Secondo Severgnini, l’Italia avrebbe parecchie possibilità di liberarsi dall’influenza della politica dell’attuale premier perché “abbiamo la memoria collettiva di un pesce rosso, circa quattro secondi. Ci dimenticheremo subito di lui”. E chiude abbozzando una proposta: “Se Berlusconi vuole rimanere al Governo fino al 2013 che lo faccia pure, ma ci deve garantire che dopo sceglierà una delle sue ventidue ville e ci si chiuda dentro con una tra queste quarantatré ragazze – che poi la voglia chiamare amante o badante sono affari suoi – e i suoi quattro giornalisti preferiti per leggergli le fiabe la sera. Insomma che smetta di occuparsi di politica perché non lo so si sopporta più!”.
Al termine dell’incontro, l’attenzione si sposta sui media in Italia e sul ruolo dei giornalisti come garanti della democrazia, oggi sempre più messo in discussione dal potere: “Il giornalismo è un potere terzo e in una democrazia serve a fare da peso e contrappeso – sottolinea Beppe Severgnini. Non dico che i mezzi di comunicazione debbano essere il dobermann della democrazia, ma che almeno ne siano il chihuahua”. E aggiunge: “Il giornalismo deve essere un’estensione della lotta politica, non un meccanismo secondo cui aiutare gli amici e bastonare i nemici, e non parlo solo di quello di destra. Ma l’italiano vuole leggere chi gli dà ragione, non vuole formarsi un giudizio critico. È una moda che si diffonde sempre di più”. E conclude con un consiglio rivolto ai colleghi per sconfiggere il morbo sempre più diffuso in Italia del servilismo: “I giornalisti devono fare informazione, non essere i camerieri di qualcuno. Non siamo i camerieri di nessuno, ma i padroni di noi stessi perché solo questo può fare la differenza”.