Dal 2001 al 2011, dieci anni di indagini, ricorsi e veleni. Attraverso uninfografica dettagliata, facciamo il punto sulla Procura catanese in attesa della nomina del successore del procuratore capo Vincenzo DAgata. A contendersi la carica non senza polemiche Giuseppe Gennaro, Giovanni Tinebra e Giovanni Salvi
Il nuovo reggente della Procura e il porto delle nebbie di Catania
Una poltrona per tre nomi. A otto mesi dal pensionamento di Vincenzo D’Agata, la procura di Catania è ancora senza un capo. La nomina del nuovo reggente da parte del Csm è attesa tra pochi giorni e la scelta andrà fatta tra tre nomi: quelli di due magistrati catanesi, Giuseppe Gennaro e Giovanni Tinebra, e quello di Giovanni Salvi, leccese di nascita e romano d’azione.
E’ per quest’ultimo che fanno il tifo associazioni e semplici cittadini che da anni chiedono al Csm di insediare alla procura etnea un magistrato estraneo alla città e perciò sicuramente indipendente dai suoi assetti di potere. E, soprattutto, estraneo ai veleni che spesso hanno intossicato i corridoi del palazzo di Giustizia di Catania.
Polemiche che hanno accompagnato anche la candidatura dei due magistrati etnei. Giuseppe Gennaro, attuale procuratore aggiunto, un passato da presidente dell’associazione nazionale magistrati, è stato uno dei protagonisti del secondo Caso Catania. Nel 2001 sono due colleghi a portare il suo caso davanti al Csm. Per l’acquisto di un villino a San Giovanni La Punta da un’azienda controllata da Carmelo Rizzo, poi accusato dai pm di collusione con il clan Laudani. Le indagini a carico di Gennaro sono sempre state archiviate, pur smentendo la difesa di base del procuratore: impossibile che lui e Rizzo non si conoscessero e a provarlo, oltre a diversi testimoni, c’è un assegno da nove milioni. Tanto basta alle associazioni antimafia catanesi per chiedere al Csm di non sceglierlo alla guida della procura etnea. E non va meglio per Giovanni Tinebra, attuale procuratore generale a Catania ed ex procuratore capo di Caltanissetta negli anni delle indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. Indagini e processi da rifare perché basati sulle dichiarazioni e l’autoaccusa del collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino. Allora ritenuto credibile da Tinebra e oggi tacciato di inaffidabilità per le smentite di altri pentiti e per aver più volte ritrattato la sua stessa versione dei fatti.
Considerato un outsider, ma dato in rimonta nei giorni scorsi, è infine Giovanni Salvi. Procuratore aggiunto a Roma dal 1984, per lui era stato pensato un trasferimento a Milano. Posto che occuperà se non dovesse venire eletto a Catania. Fratello dell’ex ministro del Lavoro Pds Cesare Salvi, per i suoi detrattori è il candidato comunista, mentre per molti associazioni come Libera e Cittàinsieme, ma anche singoli cittadini – è lo straniero di cui Catania ha bisogno. Per «sperare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città», scrivono.
[Foto di Leandro Perrotta]