Il Movimento No Tav tra accuse infamanti, lotta e informazione

LA LOTTA NO TAV RIENTRA A PIENO TITOLO NELLE PREROGATIVE SANCITE DALLA NOSTRA COSTITUZIONE. E’ IL PIù ALTO ESEMPIO DI DEMOCRAZIA DAL BASSO DEGLI ULTIMI VENT’ANNI. EPPURE…

 

di Davide Amerio
TGValleSusa.it

Il 21 febbraio scorso l’aula nella quale si tiene il processo ai No Tav per la rimozione dei sigilli alla baita costruita in Clarea (processo nel quale è anche imputato Beppe Grillo) ha udito l’arringa appassionata e documentata dell’avvocato Cristina Patrito. Un discorso che ha tentato, ancora una volta, di contestualizzare l’azione del movimento No Tav nel suo naturale significato di lotta politica, legittima e costituzionale:

“Voglio cominciare, sinceramente, ringraziando il Movimento No Tav. Io voglio ringraziare perché ha ridato al Paese una dignità che nel palazzo del potere, mi sembra evidente anche ultimamente, è ormai decisamente, definitivamente persa. Vorrei ringraziarlo perché ha ridato un ruolo a quello che è il fondamento di ogni cambiamento sociale e cioè un forte legame alla propria terra, alla propria storia, ai propri compagni di lotta. Ha ridato un ruolo al la passione civile, all’interesse civile alla passione civile. E’ il più alto esempio degli ultimi vent’anni di democrazia dal basso”. 

Ma l’avvocato non si è limitata ad un semplice ringraziamento, ha voluto documentare con opportune citazioni come la lotta No Tav rientri a pieno titolo nell’ambito delle prerogative democratiche sancite dalla nostra Costituzione, così come previsto dai padri costituenti, come si evince in questi due passaggi della sua arringa: sul diritto di resistenza cito non un pericoloso anarco-insurrezionalista o un facinoroso, Dossetti, era un giovane appartenente alla Democrazia Cristiana. Nel ’46, neppure conosciuto ai dirigenti della Democrazia Cristiana, eppure Giuseppe Dossetti con grande passione partecipava per la Democrazia Cristiana all’Assemblea Costituente.

Il 3 dicembre del ’46 presenta un progetto che prevede all’art. 3 e passerà poi all’Assemblea Costituente al Comitato dei Settantacinque, prevede l’articolo 3 il diritto di resistenza da inerire nella carta Costituzionale. Un art. 3 che recita “la resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino”. E questa è la versione un po più sobria della Costituzione Francese del ’46 che all’art. 21 giunge a dire, “qualora un Governo violi le libertà o i diritti garantiti dalla Costituzione la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri”.

Ecco, Aldo Moro, e lo cito perché Aldo Moro si rivolge a noi, si rivolge al legislatore, si rivolge a lei, perché Aldo Moro dice nel suo intervento, si trova facilmente su internet, e sono tutti, lo ribadisco, di grande interesse. Aldo Moro dice, questa disposizione offrirebbe al legislatore penale e al giudice penale una sponda indispensabile per evitare che vengano sanzionati comportamenti sperati ad una difesa, ancorché extragiuridica, di diritti fondamentali. Il dibattito è stato lunghissimo, poi si è deciso di non inserirlo nella Carta Costituzionale perché implicito nella Carta Costituzionale stessa, perché implicito nell’art. 1 laddove dice che la sovranità popolare si esercita nei limiti e modi stabiliti dalla Carta Costituzionale e questi limiti e modi sono l’art. 9 e l’art. 32 della Costituzione, la tutela dell’ambiente, la tutela della salute.

L’argomento del diritto alla resistenza che vorremmo, in fondo al nostro cuore, lontano nel tempo è tornato prepotentemente nelle nostre vite. Tutta la fase processuale è impostata, come accusano da tempo gli avvocati difensori del Legal Team, in modo da impedire il naturale e corretto svolgimento dei dibattiti. Dalla scelta “politica” di accogliere i processi in aula Bunker, anziché nelle più consone aule del tribunale ordinario; al continuo respingimento delle eccezioni poste dalla difesa, ivi compresa l’impossibilità di interrogare testimoni dell’accusa (e dimostrare palesi incoerenze nelle loro dichiarazioni), tutto volge all’obiettivo di trasformare i processi ai No Tav in un esempio, in un monito solenne per tutti coloro che intendono opporsi alle decisioni dei poteri precostituiti.

Contro l’ipocrisia di un processo politico guidato dalla Procura di Torino, ieri in aula Bunker, gli imputati hanno inscenato una manifestazione per denunciare il clima di intimidazione nel quale si svolge l’intero dibattimento e le continue violazioni dei diritti alla difesa.

Gli imputati hanno letto un comunicato che denuncia la natura dei processi ai No Tav:

Questo processo sin dai suoi esordi si è palesato non come un dibattimento volto all’accertamento dei fatti e a stabilire eventuali responsabilità, ma come un dibattimento a senso unico, quello della Procura torinese, in totale assenza di arbitri imparziali.
La stessa scelta di quest’aula – scelta più volte giustificata come mancanza di maxi aule per infine svelarsi per quello che era: una precisa scelta politica– lo dimostra. la pesante militarizzazione dell’aula, i pesanti controlli e le perquisizioni all’ingresso, la registrazione (e la duplicazione) dei documenti di identità del pubblico, non sono altro che espedienti per creare un clima di pericolosità sociale intorno al Movimento No Tav volto a condizionare l’opinione pubblica sulla legittimità di provvedimenti sempre più pesanti. Non a caso si è passati dalle comuni imputazioni di resistenza a quelle di terrorismo.
L’ammissione come parte civile di ben tre Ministeri – Interno, Difesa, Economia – cosa mai accaduta in presenza di semplici reati di resistenza e lesioni, è prova di come questo clima, costruito ad arte dalla Procura torinese, trovi nel Tribunale la sua legittimazione e la benedizione dei vari governi del Tav.
All’inverso, la non ammissione, come testi a difesa, dei tecnici No Tav è l’ennesima riprova di come si voglia condurre il processo su binari prestabiliti, presentare cioè quanto è accaduto nelle giornate del 27 Giugno e del 3 Luglio 2011, estrapolandolo da ogni contesto reale e senza tentare minimamente di comprendere le motivazioni e le ragioni degli imputati. Si vuole processare il Movimento No Tav senza che si parli mai del Tav. Il modo stesso in cui sono regolati e limitati i diritti della difesa – il reiterato rigetto di ogni istanza difensiva, l’impossibilità di conoscere (e quindi poter citare) i nomi dei dirigenti delle Forze dell’Ordine nelle giornate per cui siamo accusati, l’impossibilità di poter controinterrogare i testi dell’accusa su argomenti di cui i pm non hanno già posto domande, l’impossibilità di valutare l’attendibilità dei testi nel caso di agenti che hanno redatto relazioni di servizio usando le medesime frasi – sono per noi la dimostrazione di quanto tutto sia già stato deciso e il dibattimento rappresenti solamente una formalità necessaria.

La denuncia forte e chiara da parte degli imputati esigerebbe, in un ambito realmente democratico, delle risposte politiche precise; sappiamo che queste non giungeranno perché l’intento di questi processi è dichiaratamente politico. Le accuse di terrorismo nei confronti degli imputati devono colmare il vuoto delle argomentazioni a sostegno del Tav. La battaglia ventennale del movimento ha argomentato con documenti, studi, relazioni, dati, l’inutilità di un’opera che si vuole realizzare a esclusivo beneficio dell’interesse di ristretti potentati economici. Non avendo più, ma sarebbe meglio dire non avendo mai avute, argomentazioni da opporre, lo “Stato” usa l’arma dei processi per cercare di piegare il movimento.
Ma gli imputati non ci stanno più a questo gioco sporco condotto sulla loro pelle:

Il reiterato divieto da parte del Tribunale di ascoltare gli imputati – negando loro quasi sempre la parola e invitando i carabinieri ad allontanarli – sono la palese dimostrazione di come gli imputati non siano considerati degli attori comprimari del processo ma semplici comparse indispensabili senza diritti utili solo alla prosecuzione della rappresentazione.

Per questo motivo siamo giunti alla conclusione che qualsiasi sforzo generoso da parte dei nostri difensori sarà sempre vanificato dal clima di ostilità che si respira in quest’aula. Pensavamo di essere processati per ipotesi di reato, ma ci siamo accorti nel corso del procedimento che siamo processati non per quello che potremmo aver fatto ma per quello che siamo.

Pensavamo di avere un processo normale in un Tribunale normale ma ci sembra – in quanto No Tav – di essere sottoposti a un procedimento che si dimostra sempre più “speciale”.
Per queste ragioni abbiamo deciso di disertare questo processo. Abbandoniamo quest’aula, lasciandovi liberi di sperimentare i nuovi metodi di procedura legale da usarsi contro il movimento No Tav e ce ne andiamo in Val Clarea, luogo simbolo della nostra resistenza alla devastazione della Val Susa, per testimoniare ancora una volta la nostra determinazione e il nostro impegno in questa lotta.

Così ieri un folto gruppo di No Tav ha accompagnato in Val Clarea gli imputati e, come da copione, è stato accolto da un festoso benvenuto di manganelli che si sono prodigati per ricordare ai manifestanti l’occupazione militare della Val Susa voluta da uno Stato sordo ben lontano da quei sentimenti di legalità, diritto e verità che i padri costituenti hanno cercato di tramandarci con la Carta costituzionale.

Davide Amerio
TGValleSusa.it


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