La corsa all'ora nero investe in pieno il mare siciliano. Sono anni che le grandi multinazionali del petrolio stanno facendo rotta verso il mediterraneo, e la presa si fa sempre più stretta: nel 2011, su 82 istanze di permesso di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare presentati al ministero dello sviluppo economico, 39 riguardano la sola sicilia (74 in tutto il sud). I dati sono stati resi noti oggi da greenpeace, legambiente e wwf che definiscono l'italia un vero e proprio paradiso per i petrolieri: allungano le loro grinfie anche su aree di pregio ambientale o storico, e spesso neanche pagano le royalties. Il danno e la beffa.
Il mare di Sicilia nel mirino dei petrolieri
La corsa all’ora nero investe in pieno il mare siciliano. Sono anni che le grandi multinazionali del petrolio stanno facendo rotta verso il Mediterraneo, e la presa si fa sempre più stretta: nel 2011, su 82 istanze di permesso di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare presentati al ministero dello Sviluppo economico, 39 riguardano la sola Sicilia (74 in tutto il Sud). I dati sono stati resi noti oggi da Greenpeace, Legambiente e Wwf che definiscono l’Italia un vero e proprio paradiso per i petrolieri: allungano le loro grinfie anche su aree di pregio ambientale o storico, e spesso neanche pagano le royalties. Il danno e la beffa.
“Su 136 concessioni di coltivazione in terra di idrocarburi liquidi e gassosi, attive in Italia nel 2010, solo 21 hanno pagato le royalty alle amministrazioni pubbliche. Su 70 coltivazioni a mare, solo 28 le hanno pagate”. E ancora: “Su 59 societa’ che nel 2010 hanno operato in Italia solo 5 hanno pagato le royalties”. Per le associazioni ambientaliste “solo questo regime speciale fa dell’Italia un Far West per i petrolieri, infatti, il petrolio in Italia e’ poco e di scarsa qualita’: la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese e’ al 49o posto tra i produttori”.
Ma a stuzzicare gli appetiti delle multinazionali è un’altro dato: secondo le stime del ministero, nel sottosuolo (e nel sottofondo marino) italiano ci sono complessivamente 129 milioni di tonnellate di greggio da recuperare. E questo fa salire la febbre ai petrolieri, che non si fanno certo scrupolo di valutare se il giacimento ricade in zone da proteggere.
Ed è questo il punto di rottura con gli ambientalisti che non vorrebbero le trivelle in aree marine di pregio. E’il caso ad esempio della Shell e dei suoi permessi di ricerca nel canale di Sicilia: troppo vicino alle Egadi e a Pantelleria. L’incubo del disastro ambientale nel Golfo del Messico (accanto una foto delle conseguenze), causato dalla piattaforma petrolifera Bp è ancora davanti agli occhi di tutti.
Lo stesso vale per le aree di interesse-storico archeologico. Come il caso, esploso in Sicilia qualche tempo fà, del Val di Noto, terra di barocco e agricoltura, e le ricerche petrolifere della compagnia americana Panther Eureka. La forte mobilitazione popolare contro questa operazione è riuscita a bloccare, a quanto ci risulta, le trivelle ‘barocche’.